Morte personificata. Dalla figura europea, dintorni

pubblicato il 14 giugno 2015

G. Doré – Morte sul cavallo pallido, 1865

L’articolo è frutto di un compendio che evidenzia alcuni aspetti di Morte intesa come entità personificata, nonostante un compito di ricerca totale risulti essere estremamente vasto, sia a livello mitologico, religioso, che antropologico data la mole di riferimenti e sulle credenze che si sono tramandate nell’immaginario collettivo. Per imbastire un discorso ordinato attraverso un filo logico attorno alla nota figura, mi concentrerò sulla visione Europea partendo dal Medio Evo, periodo in cui si afferma il “personaggio Morte”, comunemente rappresentato come scheletro con saio o manto nero, munito di falce per la mietitura (nonostante non risulti l’unica rappresentazione iconografica del tempo, che riporta anche una versione con clessidra). Tale entità, che è vista a volte come dio a volte come angelo, è presente nella mitologia greca con Thanatos – origine del termine tanatofobia – , i suoi collegamenti con Hypnos e la sua derivazione come figlio di Nyx ed Erebo, ovvero la “notte” e le “tenebre”; questa divinità si trasforma, e nell’antica Roma Tanato diviene Orco, purtroppo, mutando tavolta di significato. Per sottolineare il terrore umano della morte e per spiegare che questi modifica l’interpretazione di questa entità, citerò volutamente un dialogo appartenente a Il settimo sigillo, film di Ingmar Bergman del 1956, in cui Morte è associata alla sorte attraverso una partita di scacchi. La mancanza di fede in Dio e, pertanto, l’impossibilità di addentrarsi verso un’evoluzione spirituale che risaltano dal dialogo del cavaliere nel film, rimandano ad importanti considerazioni presenti negli studi Steineriani, che illustrerebbero la possibilità concreta di sopravvivenza alla morte terrena qualora si fosse giunti ad un passaggio complicato dell’essere umano, ovvero la sua evoluzione spirituale. Il ruolo di Morte è quello di mietere le vite umane, separando la parte materiale dalle componenti dell’anima, della coscienza e dello spirito, così come il raccolto del grano per il contadino il quale poi, andrà ulteriormente selezionato.

Dal film ll settimo sigillo (Det sjunde inseglet), Ingmar Bergman, 1956:

“Adagiata ai piedi del soldato, una scacchiera adorna, il cui profilo pare sovrapporsi alla sagoma scabra di uno scoglio, aggredito dalla furia del mare. L’uomo si scuote – i suoi sensi riavvertono le consuete sensazioni -, si bagna il volto, si inginocchia in preghiera. Quando si volta, all’improvviso la scorge, immobile e incappucciata: la Morte (B. Ekerot).
Dopo tanto cammino al suo fianco, ora gli si palesa per portarselo via. Il cavaliere non è ancora pronto ad accoglierla nella carne, sebbene il suo spirito già la aneli e, di fronte alla sua fermezza, la sfida ad una partita a scacchi, curioso di vedere quanto saprà resistere e se, dandole scacco matto, avrà salva la vita. Ecco il dialogo che accompagna il loro incontro:

Cavaliere – Tu giochi a scacchi, non è vero?
(Un lampo d’interesse balena negli occhi della Morte)
Morte – Come lo sai?
Cavaliere – L’ ho visto nelle pitture e l’ho udito cantare nelle ballate.
Morte – Perché vuoi giocare a scacchi con me?
Cavaliere- Ho le mie ragioni.
Morte – Questo è un tuo diritto.
Cavaliere – La posta è che potrò vivere finché riuscirò a resisterti .Se vinco mi lascerai andare. D’accordo?

La Morte tira a sorte e le capita il nero; reagisce con ironia – Un colore che mi si addice! – e lo scherzo assume toni assai macabri. La partita ha inizio e l’atmosfera del film si incupisce subito per i Sinistri presagi che compaiono ripetutamente.

Lo spirito Block è morente, perché in lui l’idea di Dio non ha mai preso forma. Sarà attraverso il gioco, dunque che egli cercherà di riscattare la propria esistenza. Nel contesto religioso, questo è spesso considerato di maggiore importanza che la morte fisica.

Un passaggio biblico usato per spiegare la morte spirituale è una lettera agli Efesini 4:18, come uno stato d’ essere “estranei alla vita di Dio”.

Il suo avversario, la Morte, spaventa gli uomini, li costringe a pensare, ma così li spaventa ancora di più (la fede non è pensiero, è acquiescenza).”

Per alcune dottrine filosofiche greche la morte era una “liberazione”: era il momento in cui l’anima ritenuta prigioniera nel corpo durante l’esistenza terrena riguadagnava la libertà e le regioni celesti. (Platone)

Tuttavia, anima e coscienza si separano dal corpo terreno per andare a rigenerarsi fino a nuovo ciclo; quando il mietitore giunge a recidere la spiga dal terreno, ciò che sopravvive è lo spirito, la parte evolvibile dell’essere umano che, veramente di rado giunge a questa soglia. Anche se non lo comprende, ciò gli consente di giungere allo stato Uomo-Spirito, ovvero, di mantenere anima e coscienza salde al suo Sé Spirituale, eliminando definitivamente la necessità materiale della sua esistenza individuale. Pertanto Platone afferma qualcosa di corretto ma in senso lato e non relativo ad una reale sopravvivenza individuale: né l’anima né la coscienza appartengono all’essere umano, di cui è dotato sia per evolvere nello spirito (tentando se né è in grado) e, non da ultimo, per consentire la sua ciclicità. Chiusa questa parentesi, veniamo al processo di personificazione della morte, ovvero all’attribuzione di caratteristiche esteticamente umane a questa cruciale entità.


Il Medio Evo: origine del “personaggio Morte”

La rappresentazione figurativa più nota della Morte personificata – nota anche come il Tristo MietitoreSinistro Mietitore o il Cupo Mietitorethe Grim Reaper -, risalente ampiamente al XV secolo, è quella di uno scheletro ammantato di nero e armato di una falce con cui divide l’anima dal corpo. La falce è il simbolo della morte che recide la vita, così come si può recidere mietendo l’erba o il grano. Morte “miete” la vita come il contadino “miete” il grano. Essa è il simbolo dell’uguaglianza tra gli uomini. Alla stessa maniera, se la falce richiama l’idea della falciatura del grano, Morte con la falce richiama l’idea del raccolto, cioè la fine del ciclo naturale, ciclo che inizia con la semina, la fioritura, la maturazione del frutto che deve essere mietuto: morte del grano dal quale si estrae la spiga.

Lo storico francese Philippe Aries, osserva e spiega l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla morte, constatando come esso sia un fenomeno dinamico, in continua evoluzione. Come molti fatti di mentalità che si collocano nella lunga durata esso appare acronico, senza tempo, dalle origini lontane. Possibile ritenere plausibile, che da quando l’uomo sia arrivato sulla terra abbia sempre avuto ben chiaro che dovesse morire.

In realtà questi mutamenti, tra i quali le considerazioni circa la morte stessa, non vengono percepiti in modo spontaneo perché il tempo che li separa oltrepassa quello del susseguirsi di molte generazioni, superando la capacità di tramandare una memoria collettiva, anche se oggi essi stanno divenendo più rapidi e coscienti e, probabilmente, qualcosa in merito muterà. Aries giunge a definire “una decifrazione dell’espressione inconscia di una sensibilità collettiva”, distinguendo quattro modelli in cui si è modificata nel tempo la percezione della morte: la morte addomesticata (che si estende per quasi un millennio); la morte di sé (a partire dal XI-XII secolo); la morte dell’altro (dal XVII-XVIII secolo); la morte proibita (dalla seconda metà del XIX secolo ad oggi). Tali parametri ci lasciano osservare, tramite gli studi di Vovelle, come si sarebbe dunque sviluppato il “personaggio Morte” e come esso sia giunto alla consueta rappresentazione di scheletro avvolto nel saio e armato di falce. L’uomo del secondo Medio Evo inizia a nutrire terrore della morte, maturando un interesse sempre più relativo alla sua; ciò viene inoltre alimentato dalla peste, dalle carestie e dalle guerre che si sono imperversate in tutta l’Europa tra il 1300 e il 1400 (il secolo dell’uomo raro).

L’iconografia del periodo mostra una scoperta ossessiva del cadavere, la contemplazione quasi morbosa del corpo in putrefazione rappresentato, nelle tombe e nei manoscritti, nella forma del transi, ovvero di mummia scarnificata da sola o in associazione con la rappresentazione dal “vivo” del morto nell’aspetto del sonno, in una composizione a due piani (interessante fusione tra Hypnos e Thanatos). Sonno che collega i vivi e i morti nello stesso mondo, che ravviva le credenze popolari dei secoli precedenti.

Questa coesistenza perdurerà dal ‘200 al ‘500 con la leggenda dell’incontro dei tre morti con i tre vivi, nella scena dell’eremita San Macario che spiega ai giovani come mettere a profitto il senso di quel incontro, il monito che i morti lanciano ai vivi:


“…Itel con tu es itel fui Et tel seras comme je sui…”

Nel “Trionfo della Morte” di Buonamico Buffalmacco, affresco del Camposanto di Pisa, dipinto tra il 1336 e il 1341 (antecedente quindi all’arrivo della peste nera in Italia) questo esempio è ben rappresentato.

Esiste un passaggio “dai morti alla morte” che si anima, in cui si assisterà, partendo dalla seconda metà del ‘400; trasformazione in cui i morti, distesi a terra, “si vivificano” e, aggressivi contro i vivi, si alzeranno dalle loro tombe come si vede negli affreschi di Clusone risalenti al 1485. Cambia in questo momento, completamente, il senso della morte; diventa terrificante, un fatto da temere come fosse una dannazione umana, non più un elemento naturale ma qualcosa che giunge improvvisamente per strappare la vita all’uomo. Altra rappresentazione dell’incontro tra vivi e morti, peraltro citata nel dialogo in apertura sono le Danze macabre, nelle quali, in ordine gerarchico e per ceto sociale, ad un vivo viene associato un suo “doppio”. La loro diffusione inizia in modo continuo a partire dal 1350 e si desume che, nella forma originaria, in questa raffigurazione non vi sia alcun riferimento religioso ma, sicuramente, una testimonianza del punto d’incontro tra la cultura popolare e pagana, intrisa di aspetti ereditati dalle fantasie pre cristiane, e la cultura d’élite. Nella danza macabra si ha la constatazione che nessuno sfugge alla morte, ricchi o poveri che siano, gli uomini sono tutti uguali dinanzi ad essa.


Cristianizzazione di Morte

Avverrà poi un processo di cristianizzazione principalmente nel nord Europa, dopo diverse trasformazioni, dove Morte viene associata a temi religiosi. È Morte, e non “un morto”, che Adamo ed Eva incontrano all’uscita del Paradiso terrestre dopo la loro cacciata: essa suona uno strumento musicale e prende il passo dei due accompagnandoli nella loro vita, simboleggiando in maniera drammatica il passaggio dall’immortalità alla mortalità del genere umano.

Si legge, nella lettera ai Romani, circa la Caduta nella teologia biblica cristiana:

Romani 5:12-21Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Fino alla legge infatti c’era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini. E non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il giudizio partì da un solo atto per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

Adamo, figura di colui che doveva venire nonché prototipo vero e proprio dell’essere umano, fu volutamente collocato nell’Eden, luogo di perfezione ed abbondanza, allo scopo di osservare il suo comportamento, l’interazione tra il suo sé e l’intorno, tra il suo io e l’esterno. Ciò che interessava era conoscerlo, sapere quali fossero le sue necessità, le priorità e i bisogni dell’essere umano.

Ma la sua permanenza fu breve constatato, suo malgrado, che commetteva errori (non escludo che venne esposto volutamente a questi allo scopo constatare il suo grado di vulnerabilità). Per questo motivo, il solo modo per mitigare e contenere gli effetti della sua moltiplicazione, fu quello di renderlo mortale gestendo la sua vita in cicli. Gli venne lasciato il libero arbitrio sul piano materiale, per volontà di Dio attraverso la potestà dei Cavalieri dell’Apocalisse, fino al giorno del Giudizio.

Paura e sofferenza lo hanno accompagnato e lo accompagnano costantemente, la maturazione della consapevolezza della morte e al contempo dell’inconsapevolezza, una volta oltrepassata la soglia dell’aldilà sono un fardello il cui pensiero gli crea terrore. Comunque sia, in questo modo si potè contenere il suo sviluppo, dandogli e togliendogli la vita in un sistema ciclico nell’attesa di un risvolto evolutivo. Fu necessario promuovere degli “organi di controllo”, tra cui il ministero della morte.

Genesi 6:1-8 Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l’uomo che ho creato: con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d’averli fatti».

“Sono pentito” è tutto quello che c’è da sapere e, secondo me, non fu da solo a maturare tale delusione. E’ molto probabile che l’essere umano sia stato creato appositamente con delle componenti di errore misto ad altre miscellanee tra varie provenienze, allo scopo di comprendere quale prevalenza avesse ottenuto la sua evoluzione. Evidentemente si mischiarono troppe derivazioni e, tutte insieme, anziché originare un super essere, crearono un contrasto tale alla propensione dei conflitti i più variegati all’interno dello stesso elemento-uomo. Ed ecco che questi fu un errore da gestire, con la curiosità di comprendere quale riuscita avesse la sua evoluzione.

Marco 7:20-23È quello che esce dall’uomo che contamina l’uomo; perché è dal di dentro, dal cuore degli uomini, che escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, frode, lascivia, sguardo maligno, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono dal di dentro e contaminano l’uomo.


Iconografia e letteratura di Morte. Alcuni esempi

Uno dei temi dove si definisce questo nuovo concetto di Morte, sia in letteratura sia nell’iconografia, è “Il trionfo della Morte”, fenomeno essenzialmente italiano. La Morte, dapprima rappresentata in piedi o in volo, successivamente diventa “la Morte a cavallo” con un chiaro riferimento alle letture del libro dell’Apocalisse. La Morte colpisce all’improvviso giovani, dame e religiosi ignorando i poveri che invece la implorano, come nel “Trionfo della morte” nel palazzo Sclafani di Palermo del 1445. Anche nella rappresentazione del movimento della Morte si assiste ad un’ultima evoluzione: alla furiosa (… e spaventosa) cavalcata si sostituirà un lento corteo, una pacifica processione con la Morte seduta su un carro trainato da buoi, non dunque per incutere terrore ma per favorire la meditazione in chi osserva. Altro esempio è il “Trionfo della Morte” di Lorenzo Costa del 1483, nella cappella Bentivoglio in San Giacomo Maggiore a Bologna.

Trionfo della Fama e Trionfo della Morte (dex) tempere su tela alla parete sinistra della Cappella Bentivoglio, S. Giacomo Maggiore, Bologna di Lorenzo Costa (datate 1490) (foto P. Ferrieri & G.B. Vai) Fonte: Trionfo della Fama e Trionfo della Morte (dex) tempere su tela alla… | Download Scientific Diagram (researchgate.net) 

Il dio Thanatos


Personificazione della morte, dio crudele e formidabile, per quanto insensibile alla pietà e quindi temuto dagli dei stessi, non ispirava orrore. Rappresentava la morte in quanto inevitabile ma serena. Nella mitologia non ha un mito vero e proprio, ma è presente nei racconti popolari. Esiodo le dà cuore di ferro, visceri di piombo e ali di pipistrello, che le permettono di passare, in un batter d’occhio, da un polo all’altro della Terra, insensibile a sentimenti di pietà. Si supponeva avesse stanza nell’Erebo (ovvero le “tenebre”). Veniva rappresentato come un genio alato e silenzioso o un fanciullo dormiente, con una torcia spenta e rovesciata. Più anticamente veniva raffigurato come un vecchio alato con una lunga barba, un mantello nero e armato di scure (lo scheletro con falce parebbe delinearsi da quest’ultima).

In qualità di divinità psicopompa, a volte la sua figura si confonde con quella di Hermes, in particolare nel periodo più antico. Spesso fu associato, oltre i suoi fratelli, anche ad altre personificazioni negative come Geras (la Vecchiaia), Oizys (la Sofferenza), Apate (l’Inganno), Eris (la Discordia). Occasionalmente è visto come la Morte in pace, in contrapposizione a sua sorella Ker, la Morte violenta. In alcune religioni Morte appare come divinità femminea, probabilmente per questi rimandi.

Tuttavia, nel mito greco, compaiono due versioni circa l’origine di Morte. Secondo Esiodo, Thanatos (Θανατος) è figlio di Nyx (cioé “notte”) o Astrèa, la quale lo avrebbe concepito per partenogenesi, cioé attraverso una forma di riproduzione, “asessuata” ed autonoma, mediante processo di auto-attivazione. Però questa versione, in realtà è come se si basasse su un punto di osservazione che vedrebbe Notte e Tenebre in un unicuum e, quindi, potendo considerare la nascita di Morte in questa modalità. Nella seconda, per me più ricca di considerazioni giacché esiste una differenziazione, Morte nasce proprio come figlio di Nyx e Erebo (in greco antico Ἔρεβος, traslitterato in Èrebos, cioè “tenebre”), peraltro sorella e fratello, da cui nascono anche le tre Moire, figure di primaria importanza ed estremamente collegate sia tra loro che con Morte, il quale opera con esse. Cloto è la prima, la tessitrice del filo della vita degli uomini, Lachesi, la misuratrice del filo stesso, e per ultima Atropo, colei che recide il filo. Ma da Notte e Erebo, oltre ad altri figli tutti molto importanti, nasce anche Hypnos (ovvero il “sonno”), gemello di Thanatos.

Zeus mandò Tanato presso Sisifo, affinché lo accompagnasse nel Tartaro, in quanto colpevole di aver rivelato ad Asopo che era stato Zeus a rapire sua figlia Egina. Sisifo lo accolse cordialmente, lo fece ubriacare e lo imprigionò. Con Tanato prigioniero, nessuno più moriva sulla Terra e di conseguenza nell’Inferno non arrivava alcuna anima da giudicare. Ade si lamentò con Zeus che, per porre fine a questa situazione, mandò Ares a liberare Tanato ed incatenare Sisifo. Alcesti si offrì di morire al posto del marito. Quando Tanato giunse per portar via l’ombra di Alcesti, arrivò Eracle che lottò con il dio uscendo vittorioso, e riuscendo a strappargli Alcesti riconducendola al suo posto.

Sonno e Morte; l’uno insegna all’uomo conoscere l’altro
L’essere umano si perde nel sonno, per così dire, entrando tra le braccia di Morfeo, in cui perde coscienza. Quindi, è come se si fosse assenti, nonostante le funzioni vitali siano attive, con una vulnerabilità massima nel luogo in cui si giace. E’ come se il corpo fisico andasse in standby sul piano materiale lasciando prevalere il corpo astrale. Ancora il mito greco, spiega che Hypnos (da non confondere con Oneiros, cioè il “sogno”) è il piccolo fratello gemello di Thanatos, il quale insegna all’uomo o gli ricorda, o lo abitua, al sonno eterno. Questo concetto è riportato in un periodo anche nelle iconografie medioevali e nel transi, in cui la raffigurazione del morto era dormiente piuttosto che cadavere e, tale rappresentazione divenne consueta anche in altri periodi e attraverso altri filoni artistici.


Sonno e Morte; gli studi steineriani

Rudolf Steiner spiega che non si può penetrare la natura della coscienza di veglia dell’uomo, senza studiare lo stato in cui vive l’uomo durante il sonno, e analogamente, non si può affrontare l’enigma della vita senza studiare la morte. In un uomo, che non senta in alcun modo uno stimolo alla conoscenza soprasensibile, può nascere una certa diffidenza verso questa, anzitutto per la maniera in cui essa considera il sonno e la morte.

Ed è qui che si differenziano gli uomini. Chi attende di giungere al sonno per capire cosa vivrà o chi vive una seconda realtà appena si addormenta, è diverso da colui che non esamina e non si lascia andare ad esso con semplice osservazione. Chi sfugge o non si vuole soffermare su questo lato reale della vita che ci collega all’invisibile ha certamente meno possibilità di comprendere cosa sia la morte, e ad esso sarà dato il percorso che ha scelto.

Quando l’uomo dorme, spiega, la connessione fra i suoi elementi costitutivi cambia, e mentre il corpo fisico e il corpo eterico rimangono in essere, il corpo astrale e l’Io conducono vita a se. Appunto perché nel sonno il corpo eterico rimane connesso con il corpo fisico, le attività vitali possono continuare; ciò che invece rimane sospeso, sono le rappresentazioni, il dolore e il piacere, la gioia ecc, la facoltà di estrinsecare una volontà cosciente e altre facoltà simili dell’esistenza, cioè tutte le proprietà del corpo astrale.
Questo significa che il corpo astrale, nella fase di sonno dell’uomo, esiste ma in un altro stato. Affinché l’Io umano e il corpo astrale abbiano anche una percezione cosciente, è necessario che il corpo astrale sia congiunto con il corpo fisico e con il corpo eterico ed è precisamente quel che avviene nella veglia. Durante il sonno invece, il corpo astrale assume una forma d’esistenza diversa da quella che possiede normalmente ed è compito della conoscenza soprasensibile considerare quest’altra sua forma d’esistenza.

Si evince quindi che il sonno è una piccola morte; composto da cicli, si conclude con un risveglio. La morte è un grande sonno e conclude il ciclo della vita. La vita dell’essere umano lo separa dall’invisibile, l’invisibile lo separa dalla vita. Il sonno lo separa dalla veglia, la morte dalla vita e , pertanto dal visibile, generalmente. Dell’invisibile si diventa parte solo attraverso la morte, chiaramente, con il proprio ruolo da essere umano che restituisce il corpo alla Terra e che riconsegna la sua anima e la coscienza fino ad un prossimo ciclo. Ogni individuo, viene scorporato e poi si ricrea un individuo, ricomposto, di volta in volta. Della parte spirituale costitutiva dell’uomo non affronto la questione, né dei suoi elementi costitutivi né disgregativi, per non ampliare oltre il tema che si concentra solo su Morte Personificata, anche se è difficile non estendersi al concetto di Uomo-Spirito che, tuttavia, meriterebbe un discorso a parte. Accenno soltanto che colui che riesce ad evolvere lo spirito lungo il cammino più complesso, mantiene coscienza e anima oltrepassata la soglia terrena.


Thanatos in Grecia, Orco a Roma

Nell’antica Roma, il suo nome era traslitterato in latino come Thanatus, e veniva corrisposto a Mors o, più raramente, a Orco. Le origini di questa divinità è probabilmente etrusca: Orco era venerato principalmente nelle zone rurali, non si hanno notizie certe del suo culto ufficiale nelle città, ed è ritratto in alcuni affreschi nelle tombe etrusche come un gigante peloso e barbuto. Presso gli etruschi il destino di ogni defunto era di essere condotto in un mondo di patimenti, senza luce e speranza, popolato da creature demoniache, come Tuchulcha (Tuχul-χa, il demone) dal volto di avvoltoio e armato di serpenti, o Charun (Caronte), dal volto deforme che regge un pesante martello, i quali occupavano un ruolo di primo piano come rapinatori e carnefici delle anime. In questo quadro, probabilmente trae la sua origine la tetra figura di Orco. Sono esistiti dei templi dedicati; un tempio di Orco, ad esempio, si sarebbe trovato sul monte Palatino a Roma. La lontananza dalla città gli ha permesso di sopravvivere in campagna molto tempo dopo la cessazione dell’adorazione degli Dei principali. Nel Medioevo la sua figura mutò nel significato, nel quale aspetti del suo culto sono stati trasmutati nella figura del selvaggio, con feste organizzate nelle zone rurali d’Europa perdurate fino ai tempi moderni.

Culto di Orco. Thanatos ed Ipnos portano Sarpedon mentre assiste Hermes

Dall’associazione con la morte e con gli Inferi, il termine orcus cominciò ad essere usato anche per altre creature mostruose e ripreso dai bestiari medievali. In particolare, l’italiano orco indica una creatura antropomorfa con connotazioni bestiali, spesso demoniache.

L’etimologia del termine associata a questo nuovo uso è presente anche nel francese ogre, riscontrabile nel Perceval ou le Conte du Graal del XII secolo di Chrétien de Troyes. Più celebre è la sua apparizione nelle fiabe di Charles Perrault.

L’inglese orc, invece, riprende l’originale latino e può essere interpretato come sinonimo di Orco o Ade. Introdotto nell’VIII secolo con il ciclo di Beowulf, riunisce la mitologia norrena con elementi cristiani e la cultura classica, dove la razza del mostruoso Grendel è descritta come Orc-néas, che sembra significare “cadaveri di Orcus. La dimora di Grendel, un antro subacqueo nascosto in una nebbiosa palude, non è molto diversa dalle rappresentazioni dell’Averno.

Cenni. Santa Muerte, una religione


Si tratta della religione che sta subendo la più rapida crescita in tutto il mondo le cui origini sono incerte; sebbene alcuni ritengano sia legato al culto della morte preispanico precolombiano, molti asseriscono invece trattarsi piuttosto di un sincretismo con la religione Yoruba, pure diffusa sul posto, e altro. Oggi arriva a stimare più di dieci milioni di seguaci da Buenos Aires, Los Angeles, Giappone e Australia. Le pratiche della Santa Muerte pare siano radicate nel cattolicesimo tramite David Romo Guillén – che fu allontanato dalla Chiesa Cattolica – , insieme ai collegamenti alle credenze azteche. I suoi devoti credono che essa sia una presenza spirituale benevola, un angelo di luce dotato di estremi poteri e sono fermamente convinti che la sua protezione sia la più potente in assoluto. La Santa Muerte è rappresentata con scheletri avvolti in manti di diverso colore, recanti in mano oggetti differenti, tra cui anche la consueta falce e la clessidra, e si dice che per ognuno di essi è attribuita una particolarità. Sarebbe possibile invocarla essendo pronti a rinunciare a qualcosa di veramente caro pur di ottenere quanto si chiede; questa divinità non giudica il bene o il male, e ciò appare a mio criterio una distorsione dell’origine di Morte, intesa come divinità né benigna né maligna, bensì neutra.

Altri collegamenti
Nell’induismo yama, parzialmente sovrapposta anche al Tempo e alla Giustizia, sorveglia il trapasso delle anime da un mondo all’altro; nelle religioni abramitiche è uno dei Cavalieri dell’Apocalisse che cavalcheranno sulla terra il Giorno del Giudizio, anche se nell’Antico Testamento, come dicevo, compare talvolta un Angelo della Morte. Nel paganesimo slavo ha fattezze femminili, mentre nell’Islam è Azrael, uno dei quattro principali arcangeli. Nella mitologia giapponese è Enma, re dello Yomi (il regno degli inferi) e quindi associato ad Ade (così come lo è il cavaliere che ha con sé l’ades nell’Apocalisse di Giovanni), ma nell’immaginario mitologico recente, probabilmente importato dall’Europa, si è diffusa anche la figura dello Shinigami (死神, Dio della Morte) che sorveglia il trapasso delle anime. Nella cultura popolare la Morte personificata ha avuto larga diffusione: ad esempio in graphic novel come Sandman di Neil Gaiman; in film come Vi presento Joe Black diretto da Martin Brest; in telefilm umoristici come Reaper o Dead Like Me; in molti manga o anime giapponesi in cui compare la figura da loro conosciuta come Shinigami.


Quando Morte calca la terra

Non c’è vita senza morte né morte senza vita. Questo è un principio fondamentale, un’equazione imprescindibile.
Per supremazia divina, quando Morte calca il terreno è Dio in terra perché la morte è vita e la vita è la morte, essendo che vita e morte vanno di pari passo. Morte è onnisciente e onnipresente quindi il Dio è, a seconda della reclamazione o della onniscienza, Morte o Dio. Per trasmigrazione, quando Dio e Morte calcano la terra possono essere la stessa, oppure due entità diverse, questo dipende dal ruolo in cui e per cui uno dei due è stato reclamato.
Morte non cammina sulla terra ma in quanto Dio la calca; il termine “calcare” vuol dire sottomettere il terreno al proprio volere, ossia una delle forze più elevate mai esistite. Come figura, Morte non potrà mai sostituire Dio o viceversa, tuttavia, tramite le investiture hanno valenza quando si calca la terra.

Lv 12:22colui che calcherà le terre di ogni mondo ne sarà il padrone in eterno.

Esistono due passaggi entro i quali Morte calca la terra:
– Il primo, attraverso il suo utovolere, su richiamo di Dio di Morte stessa;
– Il secondo, attraverso il reclamo, o reclamazione.

Parlando di reclamazione o meglio, di cullum med’him* sahim (copto tradotto in arabo), l’unico modo è disporre i quattro anelli dei Cavalieri dell’Apocalisse nella forma romboidale annettendo al centro l’infarinatura per la produzione dell’ostia grezza, la quale costituisce il quinto anello (del quinto Cavaliere). In realtà, questo processo è consentito esclusivamente a tutta la schiera angelica e ad alcuni prediletti esseri umani, prescelti ed assegnati ai Cavalieri. I Cinque Cavalieri sarebbero sulla terra, non in modo costante e alternativamente a seconda delle problematiche terrene e, oltre alla schiera angelica, alcuni prescelti umani a cui ciascuno di essi è assegnato hanno la possibilità di conoscerli consensualmente e quindi, in casi particolari, riuscire a raggrupparli. Gli anelli non sono simbolici, ma veri e propri, composti in oro giallo da 20 kt; l’oro è un metallo nobile proveniente dalla terra, di conseguenza, per agire su questa non servono altre forze se non quella dei quattro elementi, nel caso specifico, attraverso gli anelli in oro più il quinto, che è composto dall’essenza donata spontaneamente dai quattro Cavalieri e che prende il nome di ostia la quale, per antonomasia, è grezza.
Tuttavia quando Morte viene reclamato (come Dio) può scegliere di non manifestarsi, al contrario di altri esseri che invece sono soggetti all’obbedienza delle forze che li governano attraverso una gerarchia cui non possono sottrarsi, altrimenti andrebbero incontro a problematiche ingestibili.

Occorre disporre gli anelli su di un piano di rame e oro; questi metalli devono essere intrecciati insieme e saldati fino a comporre la superficie sulla quale essi saranno disposti. Per reclamare Morte bisogna disporre i quattro anelli a rombo con il quinto al centro, in altro modo questi ritornano ai cavalieri in modo sparso, salvo in periodi particolari e in casi del tutto eccezionali, in cui i cavalieri stessi decidono di toglierseli e darli per la causa. La sola altra entità che potrebbe manifestarsi in alternativa è Dio, attraverso altra combinazione. Negli ultimi duemila anni Morte ha calcato la terra soltanto due volte, la prima attorno al 400 BC e la seconda attorno al 1380 BC; i motivi entro cui ciò avviene sono collegati alla risoluzione di catastrofi, l’evitare disastri immani o la gestione di mali minori.
mietitori e Morte sono dunque due cose separate. Morte e la morte, addirittura, sono due cose diverse e separate. La morte (il morire) in realtà è la fine di un ciclo vitale, il termine di un percorso umano che, a seconda della sua struttura, può terminare prima o dopo, non ha un tempo prestabilito o un destino, esso si forma man mano che vengono effettuate le scelte di vita, oppure, per disgrazie come malattie che non sono mai state predeterminate, in alcun modo.
Morte non ha la falce né un taccuino coi nomi da andare a mietere, la clessidra o la lanterna.
Il compito dei mietitori (i soli entrati nell’immaginario collettivo attraverso la simbologia del Tristo Mietitore) è quello di recuperare l’essenza dell’essere che muore, perché quando un essere umano muore, l’anima si distacca e trascende assieme allo spirito mentre l’essenza di quell’essere umano finisce con esso; il mietitore ha il compito di porre a destinazione questa essenza e, quindi, il compito di portare la morte dell’uomo assicurandosi che la sua essenza vada nel luogo esatto.
Per Simbiosi Terrena, Morte (e/o altri esseri soprannaturali) può agire nella maniera più spontanea possibile con gli esseri umani, senza che questi se ne accorgano; è pertanto possibile che un uomo possa comunemente interagire con lui – o altri – senza alcun dubbio particolare e in un contesto del tutto comune.

Conclusione
La personificazione dei mietitori (anche se viene confusa con Morte) va molto di pari passo con le credenze e con i modelli di concezione della morte stessa; la figura del Tristo Mietitore è riuscita a perdurare nei secoli, nell’immaginario collettivo condiviso sia in Europa che oltreoceano, giungendo a riformulazioni che hanno dato adito nuove associazioni religiose come accennato sopra, al di là del significato del culto. Un altro rimando non trascurabile è da attribuire alle carte dei tarocchi e, quindi, all’associazione di Morte che cammina accanto agli uomini cavalcando la sorte. Il terrore umano della morte, che oggi ha assunto una connotazione proibita, celata e di cui poco si parla (o se lo si fa, la si approccia in modo statistico e mai emotivo) ha decisamente plasmato il suo ruolo attraverso una bizzarra e singolare accettazione, per mezzo di racconti di fantasia o divenendo, addirittura, personaggio di videogames, nel tentativo di sdrammatizzarla e, persino, divertirvisi attraverso forme ludiche non essendo riusciti a prevaricarla. Per quanto la si cerchi di interpretare o “digerire”, Morte ha operato, opera e opererà incessantemente accompagnando, come monito sostanziale, il destino di questa umanità, proprio, come vanno mietuti i campi di grano.

Igno-rando

Pubblicato da Ignorando

De labore solis!