Transumanesimo e ipotesi sul postumano

pubblicato il 18 luglio 2016

Fonte immagine: I transumanisti sono dappertutto. Parola di Mark O’Connell | Wired Italia

Sommario – 1. Introduzione – 2. La morte. Una soglia biologicamente inevitabile – 3. Il limite di Hayflick – 4. Il pensiero transumanista – 5. L’invecchiamento e i danni cellulari nel filone transumanista – 6. I robot erediteranno la Terra: una nuova <<umanità>> aggirerà la morte? -7. Riflessioni e conclusione


1. Introduzione

La razza umana può, se lo desidera, trascendere sé stessa, non in maniera sporadica, un individuo qui, in un modo, un individuo là, in un altro modo, ma nella sua totalità, come umanità. Abbiamo bisogno di un nome per questa nuova consapevolezza. Forse il termine transumanesimo andrà bene: l’uomo che rimane uomo, ma che trascende sé stesso, realizzando le nuove potenzialità della sua natura umana, per la sua natura umana. <<io credo nel transumanesimo>>: quando saremo in numero sufficiente ad affermare ciò con convinzione, la specie umana sarà sulla soglia di nuovo genere di esistenza, tanto diverso dal nostro quanto il nostro è diverso da quello dell’Uomo di Pechino. E’ allora che vedremo la cosciente realizzazione del nostro reale destino.

Julian Huxley

Cos’è l’evoluzione se non una strana nave: avanza in acque oscure, assicura la sopravvivenza della specie e, al contempo, ne affonda ogni singolo componente, gettandolo in mare. Un soggetto, dal punto di vista della continuità evolutiva, ha valore fino a che utile alla riproduzione, dopo di che, l’esistenza lo porta a comprendere e a rassegnarsi al tracollo che, come conseguenza, determina la sua fine. Nel 1974 Ernest Becker vince il premio Pulitzer con il libro “The denial of death” (“La negazione della morte”)(1). Con quest’opera egli, nei fatti, diviene il fondatore di una nuova corrente della psicanalisi, che ribalta completamente la dottrina freudiana della sessualità e rifonda la psicanalisi sulla base di una teoria unitaria che collega medicina, filosofia e spiritualità. Caso vuole che nello stesso anno della pubblicazione del libro Becker, a soli 50 anni, muore. La teoria psicanalitica dell’autore ha impressionanti analogie con il pensiero gnostico. Si dice che dietro ogni gnostico si celi un pessimista (da cui la definizione di “pessimismo gnostico”) e, in effetti, non vi è niente di più vero. Secondo l’interpretazione psicologica dello gnosticismo, a cui si devono gli sforzi di Henry-Charles Puech(2), lo gnostico è un uomo che ha preso coscienza del male di cui è intessuto il mondo e la storia degli uomini e ciò gli provoca un profondo disagio. Da questa sensazione di grande disagio e insoddisfazione nascono i tre interrogativi centrali del suo pensiero: “chi sono, da dove vengo, dove vado?”.
Dal punto di vista culturale, negli ultimi anni si sono ampliati considerevolmente gli orizzonti verso la conoscenza e, insieme, sono cresciuti gli interrogativi sull’esistenza e sulla possibilità di superare il fardello della morte.
Partendo dalle abitudini di vita e giungendo sino alle nanotecnologie, si va verso un corpo sempre più forte e longevo, solitamente, desiderando di restare vicino ai cari o per non vederli mai invecchiare, per essere immune da ogni patologia o deficit, sfuggendo alla triste e costante sensazione della vita che scivola, impotente, verso il suo inesorabile declino. Il concetto di fondo ed il terrore dello stesso, da sempre esistente, è cresciuto con la psicosi di morte, che toccò l’apice negli anni Novanta, particolarmente attraverso la diffusione del virus Aids, dove corpi interamente tumorali venivano dilaniati dal medesimo sistema cellulare; contrarre il virus o nascere contaminato significava condanna certa. Questo problema, legato alla fragilità del corpo in senso generale e che non esime lo gnostico dalle riflessioni, ha scatenato uno sviluppo mirato, soprattutto nell’ultimo decennio, della più ambiziosa ed arrogante delle nostre scienze – la medicina – per contrastare il ‘problema’ dell’invecchiamento (e la sua fedele compagna, la morte).
E, in un contesto dove la società preferisce tacere nel nichilismo e nella rassegnazione all’inevitabile destino, prende forma in controbattuta l’ottica transumanista, un movimento determinato a modificare il corpo umano rendendolo capace – se non di annullare – di superare i suoi stessi limiti, rimandando la morte il più lontano possibile. Non basta più narrare l’epidermide ma è necessario calarsi negli inferi dell’esistenza, là dove lo scontro è più lancinante e dove riaffiorano i germi di una nuova identità.


2. La morte. Una soglia biologicamente inevitabile

Secondo Becker, nel corso del suo sviluppo mentale il bambino prende lentamente coscienza del fatto che il suo corpo è fragile: capisce che dovrà provare il dolore, ammalarsi, soffrire e, soprattutto, dover dipendere dagli altri. Più in là negli anni si fa strada nella sua mente una drammatica consapevolezza: quella che esiste la morte. Il bambino realizza che tutti gli esseri viventi intorno a lui sono destinati all’annullamento: le piante, gli animali e anche i suoi familiari, primi fra tutti i più vecchi tra loro. Ma non solo loro. Egli capisce di essere rinchiuso in un corpo abbandonato e inerme, destinato alla stessa fine. Egli giunge poco alla volta alla drammatica consapevolezza che Madre Natura è una divinità crudele che distrugge tutto quello che crea. Ma nello stesso tempo, se non prima della scoperta di vivere all’interno di un corpo condannato a soffrire e a perire, il bambino prende coscienza di possedere un bene prezioso; la sua mente, il suo Io. E allora, si chiede: perché una cosa così nobile e preziosa, come la mia intelligenza, è racchiusa in un corpo così fragile, così dipendente dai bisogni materiali e dall’aiuto degli altri, senza il quale si è persi? Come è possibile che questo corpo, destinato alla rovina e alla morte debba trascinare con sé, nel baratro, la mia mente, il mio Io? Da questo drammatico contrasto tra la nobiltà di quello che il bambino sente dentro di sé e la fragilità della materia con cui è costruito il suo corpo nasce la consapevolezza di essere, come dice Becker, “un Dio seduto sul proprio ano”.
E allora come fare quando si arriva a questa consapevolezza? Come riuscire a sostenere il peso di tutta una vita dopo aver fatto la drammatica scoperta che tutta la bellezza, tutta la nobiltà della nostra mente è racchiusa in un corpo destinato inesorabilmente alla morte? “La condizione umana – dice Becker – è un peso troppo grande per essere sostenuto da un animale”.
L’unica strada consiste nel trovare il modo di negare la morte, nell’opporsi ad essa, nel contrapporre al progetto universale in cui l’unico nostro ruolo è quello di nascere, riprodursi e togliersi rapidamente di mezzo, un progetto in cui è l’uomo al centro del suo destino. La posta in gioco è altissima: chi non riesce a dare un senso alla propria vita, a sfuggire quell’ immane tritacarne che è il progetto universale cade, secondo Becker, nell’alienazione, nella malattia mentale.
La medicina, remando in questo senso in particolare, nell’ultimo secolo, ha decisamente prolungato la durata della vita o, come direbbe Stephen S. Hall(3), a prevenire la morte, al punto che molti abitanti dei paesi sviluppati vivono più a lungo di quanto non sia mai avvenuto nella storia dell’umanità. In Italia, nel 1863 l’età mediana di morte non arrivava ai 50 anni, fermandosi a 49,29. Secondo i dati Istat del 2007, la speranza di vita per un bambino che nasce attualmente in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni. Sono stati fatti notevoli progressi nel ridurre al minimo le cause premature di morte – incidenti, malattie, ferite, assideramento, mancanza d’igiene e altro – ma l’invecchiamento non era mai rientrato tra le preoccupazioni della medicina, se non come sottodisciplina, in quanto processo biologico, fino a quando la conseguenza di questi progressi ha cominciato seriamente a far vivere ben oltre l’età riproduttiva, ovvero oltre l’unica cosa che l’evoluzione si limita a proteggere.
Si è via via delineata, insieme, una classificazione circa le strategie culturali per contrastare la morte, e l’invecchiamento è emerso come discorso separato e degenerativo, il quale ha scatenato una vera e propria sfida tra l’inevitabile declino del corpo umano (o soma) e il potere rigenerativo delle cellule in coltura nelle capsule Petri. In “Immortality: The Quest To Live Forever and How It Drives Civilization”(4), Stephen Cave – che parte dal presupposto che nessun tipo di immortalità è conseguibile, neanche a livello simbolico – classifica cinque <<narrazioni>> che tutte le culture umane avrebbero adottato, in misura diversa, per contrastare o venire a patti con la morte. Esse sono, con i relativi slogan: <<rimanere vivi>>, <<resurrezione>>, <<anima>>, <<eredità>> e <<saggezza e accettazione>>. Dalla prima narrazione è chiaramente derivata tutta la nostra pratica medica dove, pertanto, buona parte del progresso scientifico e tecnologico può essere inquadrato, inclusi tutti i tentativi di procurarsi l’immortalità. Il biologo evoluzionista americano George C. Williams suggerì, nel 1957, la teoria della <<pleiotropia antagonista>>, secondo la quale vi sarebbero geni che hanno sull’organismo almeno due effetti, il primo dei quali, benefico, si manifesterebbe in gioventù, mentre il secondo, pernicioso, solo dopo una certa età. Stando così le cose, per Williams alterare il processo d’invecchiamento è del tutto impossibile, in quanto ogni tentativo implicherebbe un’insanabile rottura dei delicati equilibri su cui si regge la vita. Ad esempio, manipolare geneticamente un individuo per allungargli la vita ne comprometterebbe inevitabilmente la fertilità, rendendolo, sotto il punto di vista evolutivo, del tutto inutile alla prosecuzione della specie.
Uno scienziato, emerso negli anni Cinquanta e di cui, proprio come per Becker poco si dice, ancora oggi, non è stato smentito.



3. Il limite di Hayflick

A Leonard Hayflick(5), professore di microbiologia medica all’Università di Stanford dal 1968, poi direttore del Centro di gerontologia dell’Università di Gainsville, in Florida dal 1982 e dal 1988 Professore di anatomia all’Università di San Francisco si deve, in particolare, lo studio dei processi di invecchiamento. Di lui si parla pochissimo nonostante le fondamentali scoperte, probabilmente perché, cancellando le convinzioni sull’immortalità cellulare ha, pertanto, fatto lo stesso per quella umana. Ha elaborato una teoria secondo la quale ciascun tipo cellulare ha a disposizione solo un certo numero di replicazioni (limite di H.), raggiunto il quale la cellula invecchia e muore. In questo modo ha evidenziato la differenza tra linee cellulari mortali (sane) e immortali (tumorali). Per studiare i virus, è necessario poterli sviluppare in condizioni controllate; e, dal momento che questi si riproducono solo all’interno di organismi viventi, tale condizione richiede un ingrediente fondamentale: cellule vive. Ai tempi era molto difficile ottenere cellule sane per dimostrare che esse potevano venire infettate dai virus sviluppando tumori, ma riuscì tramite Sven Gard dal Karolinska Institute a Stoccolma a procurarsi abbondantemente parti fetali abortive. Le cellule addomesticate e addestrate da Hayflick si rivelarono molto efficaci per la ricerca in ambito virale e, soprattutto, per la produzione di vaccini; essendo essenzialmente incontaminate venivano richieste dai virologi di tutto il mondo. Ma poi arrivò la sconvolgente scoperta: lo scienziato cominciò a notare che alcune popolazioni cellulari, improvvisamente, smettevano di crescere e di dividersi, restando in questa condizione per circa un anno prima di morire. Continuavano a metabolizzare, ma non si dividevano più. Ciò scatenò non pochi problemi nella comunità scientifica che, prontamente, sminuiva gli studi del giovane scienziato.

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I puntini gialli che si vedono nella foto, tratta da un articolo pubblicato da Peter M. Lansdorp su “The Journal of Cell Biology” nell’ottobre 1997 intitolato Lessons from Mice without Telomerase, sono i telomeri dei cromosomi di una cellula di topo evidenziati con la tecnica dell’ibridazione in situ fluorescente (FISH). I telomeri sono strutture specializzate localizzate al termine del filamento di DNA che forma il cromosoma. Svolgono un ruolo molto importante nella regolazione della crescita, come “contatore” della replicazione cellulare nonché una capsula finale che evita la degenerazione dello stesso cromosoma.
L’immagine(6) è commemorativa del cinquantesimo anniversario della dimostrazione del “limite di Hayflick”. Nel marzo 1965 veniva infatti pubblicato l’articolo dello scienziato statunitense Leonard Hayflick che contraddiceva l’idea (sostenuta anche dal Premio Nobel per la medicina Alexis Carrel) che le cellule in coltura fossero virtualmente immortali. In realtà, esisteva un errore grossolano che veniva seguito senza valutarne gli effetti, ovvero il ricolmare la coltura con nuove cellule. Le conclusioni di Hayflick sono state riprese ed estese dal lavoro di molti altri biologi cellulari impegnati nello studio dell’invecchiamento e hanno portato al concetto di morte cellulare programmata. A lui si deve inoltre la prima linea cellulare umana coltivata, la WI-38, che è stata utilizzata per produrre la maggior parte dei vaccini più comuni, nonché l’identificazione del Mycoplasma pneumoniae come agente eziologico della polmonite atipica primaria.



4. Il pensiero transumanista

Spesso si è detto che l’Età dei Lumi iniziò con la pubblicazione del Novum Organum di Francesco Bacone, il “nuovo strumento” (1620), che propose una metodologia scientifica basata sull’indagine empirica, piuttosto che sul ragionamento a priori. Bacone difese il progetto di “rendere tutte le cose possibili”, con la quale intese utilizzare la scienza per raggiungere la padronanza sulla natura al fine di migliorare la condizione di vita degli esseri umani. Il patrimonio culturale del Rinascimento si combina con l’influenza di Isaac Newton, Thomas Hobbes, John Locke, Immanuel Kant, il marchese di Condorcet, e altri per formare la base razionale dell’umanesimo, che sottolinea la scienza empirica e la ragione critica – piuttosto che la rivelazione e l’autorità religiosa – come modalità di apprendimento sul nostro posto all’interno del mondo naturale fornendo un fondamento per la moralità. Il Transumanesimo ha radici – morali ed etiche – nell’ umanesimo razionale. Il termine <<transumanesimo>>, di cui è accettata l’accezione italiana <<transumanismo>> fino a che non sarà la scienza ad apportare degli specifici distinguo – per ora ci si limita ad ambivalere la definizione ideologica o quella filosofica a seconda di come viene intesa la costruzione del termine – , è entrato nel suo equivalente inglese (transhumanism) nell’Oxford English Dictionary l’11 dicembre del 2008, a mezzo secolo di distanza dalla coniazione dello stesso Huxley, di cui leggiamo nell’apertura dell’articolo. Tuttavia, il verbo <<transumanare>> venne usato molto prima da Dante Alighieri nel Canto I del Paradiso, (vv. 70-71): “Trasumanar significar per verba | non si poria”, intendendo con questi versi il trascendere i limiti della natura umana, anche se di certo non si riferiva all’ingegneria genetica o all’intelligenza artificiale come mezzi per raggiungere il fine. Huxley, invece, lo introdusse nel 1957, in un manifesto volto ad esaltare le possibilità aperte della scienza e della tecnica che porterebbero l’uomo a superare i propri limiti biologici. Nel pensiero huxleyano si parla di un essere umano (nel senso di unità biologica a base carbonio) che non preconizza ancora l’avvento dell’essere postumano non biologico, come faranno invece altri specialisti di robotica o intelligenza artificiale, di cui vedremo. Si va profilando cioè una nuova linea di orizzonte per la scienza, volta ad affrontare con un possibilismo mai esistito gli affacci del futurismo, della fantascienza, della filosofia e dell’epistemologia che vivono in quella particolare linea di confine tra le materie umanistiche e scientifiche e che sono in attesa di scoprire se essere rese manifeste. In un opuscolo stampato dalla World Transhumanist Association (WTA), la più nota organizzazione transumanista mondiale, si legge che “Il transumanesimo può essere descritto come un’estensione dell’umanesimo, dal quale è in parte derivato. Gli umanisti sostengono l’importanza del singolo essere umano, del pensiero razionale, della libertà, della tolleranza e della democrazia [ in contrapposizione alla logica di Madre Natura sulla conservazione della specie ]. I transumanisti concordano con tutto ciò ed aggiungono una forte enfasi su quello che, potenzialmente, potremmo divenire. Non solo intendiamo utilizzare mezzi razionali per migliorare la condizione umana ed il mondo, ma vogliamo anche utilizzare gli stessi strumenti per migliorare l’organismo umano. Questo vuol dire che non ci limitiamo ai mezzi usualmente sostenuti dagli umanisti (per esempio l’educazione), ma che sosteniamo anche l’uso dei mezzi tecnologici che, un giorno, ci permetteranno di spingerci al di là di quello che oggi si definirebbe umano(7)”.


La Carta dei Principi(8), elaborata da un folto gruppo di scienziati, intellettuali, studenti o semplici appassionati sul finire degli anni Novanta, recita:

“1. L’umanità sarà radicalmente trasformata dalla tecnologia del futuro. Prevediamo la possibilità di riprogettare la condizione umana in modo da contrastare il processo di invecchiamento, le limitazioni dell’intelletto umano (e artificiale), un profilo psicologico dettato dalle circostanze piuttosto che dalla volontà individuale, la nostra prigionia sul pianeta terra e la sofferenza in generale.
2. Uno sforzo di ricerca sistematico sarà necessario per comprendere l’impatto di tali sviluppi per ora all’orizzonte e le loro conseguenze sul lungo termine.
3. I transumanisti ritengono che per usufruire delle nuove tecnologie, sia necessario mantenere un’apertura mentale che ci permetta di adottare tali tecnologie invece che di tentare di proibirne l’uso o lo sviluppo.
4. I transumanisti sostengono il diritto morale di utilizzare metodi tecnologici, da parte di coloro che lo vogliano, per espandere le proprie capacità fisiche ed intellettuali e per aumentare il livello di controllo sulla propria vita. Aspiriamo ad una crescita personale ben al di là delle limitazioni biologiche a cui siamo oggi legati.
5. E’ imperativo, nel pensare al futuro, considerare l’impatto di un progresso tecnologico in continua fase di accelerazione. La perdita di potenziali benefici, a causa di tecnofobia e proibizioni immotivate e non necessarie, sarebbe una tragedia per il genere umano. Dobbiamo comunque tenere presente che un disastro o una guerra, causati o resi possibili da una tecnologia avanzata, potrebbero portare all’estinzione di ogni forma di vita intelligente.
6. E’ necessario creare luoghi di incontro in cui razionalmente discutere i passi da intraprendere verso il futuro ed è necessario creare le strutture sociali in cui decisioni responsabili possano essere implementate.
7. Il transumanesimo è fautore del benessere per tutti gli esseri senzienti (siano quelli umani, intelligenze artificiali, animali o potenziali esseri extraterrestri) ed include molti principi dell’umanesimo moderno. Il Transumanesimo non è legato ad alcun partito o programma politico.”


Si evidenzia il <<ulitto morale>> di usare la tecnologia per superare le limitazioni biologiche dell’umanità e che il titolare di tale diritto non è l’uomo, bensì l'<<essere senziente>>; pertanto ci si trova di fronte ad una bioetica totalmente nuova che genera non poche polemiche tra i tradizionalisti. I transumanisti, per tutta risposta, sottolineano la continuità delle loro idee con dottrine e ideologie precedenti, in quanto i fini non sono cambiati se non che, con mezzi differenti.
Se prima un uomo potenziava le proprie capacità attraverso lo studio, ovvero agendo sul software, ora si presenta la possibilità di potenziarsi agendo anche sull’hardware(9).

Seguendo una tradizione filosofica influenzata dall’illuminismo e dal positivismo, il transumanesimo si pone come obiettivo l’utilizzazione della scienza come mezzo per migliorare tutta l’umanità, ponendo l’essere umano al centro dell’universo. Il ‘perfezionismo’ è il primo imperativo etico dei transumanisti, volto ad approdare a uno stadio post-darwiniano in cui gli esseri umani saranno in grado di controllare e direzionare l’evoluzione sostituendo alle mutazioni causali la propria facoltà ultra-razionale. L’obiettivo dichiarato è la costruzione di un “transumano” tecnologico, in grado di superare gli stessi limiti biologici che lo costituiscono.



5. L’invecchiamento e i danni cellulari nel filone transumanista

Per metterla giù in altri termini: per quale motivo ci tocca invecchiare e, dopo un certo numero di anni, morire?
Al momento attuale il paradigma dominante sembrerebbe essere – sotto varie forme – quello dell’accumulo di danni(10), ossia l’idea che invecchiamento e morte siano provocati della negligenza di una natura poco interessata al destino dell’organismo che ha già avuto modo di riprodursi. In reazione a questo discorso, sono nate diverse branche , via via collocate nelle pseudoscienze, tra cui la medicina anti-età del movimento longevista, che hanno portato qualche successo sulla risposta di un organismo di fronte a modifiche quali, ad esempio, la restrizione calorica e l’attività fisica trattando la senescenza come fosse una malattia degenerativa. Ma, logicamente, la risoluzione del problema non può limitarsi a ciò, altrimenti avremmo davanti agli occhi uno scenario differente.
Dal punto di vista teorico Becker, di cui si è scritto nell’introduzione, è stato fonte di ispirazione per tre psicologi sociali americani – Jeff Greenberg, Sheldon Solomon e Tom Pyszczynski – che, dagli anni Ottanta, hanno elaborato la “teoria della gestione del terrore(11)”, considerandola la chiave di volta della psiche umana; un conflitto psicologico frutto del desiderio di vivere la chiara consapevolezza dell’inevitabilità della morte. Questo conflitto non produce paura, ma vero e proprio terrore che, a sua volta produce cultura.
Nessuna speranza, quindi? In realtà, la scienza ufficiale non esclude la possibilità di riuscire, nel giro di qualche decennio, a prolungare le nostre aspettative di vita in maniera radicale. Uno dei sostenitori di questa possibilità è il noto biologo americano William Haseltine, biogerontologo britannico “autodidatta”, membro del comitato consultivo della SENS Research Foundation. Dopo aver lavorato sull’Aids e sul genoma umano, lo scienziato ha creato diverse compagnie biotech, tra le quali si ricorda la Human Genome Sciences, finalizzata all’applicazione delle scoperte della genomica alla ricerca medica. Nel 1999, durante una conferenza sul Lago di Como, Haseltine ha coniato il termine <<medicina rigenerativa>> seguito, poco dopo da altro termine: <<medicina ringiovanente>>, per descrivere la rivoluzione che nel futuro potrebbe portarci verso l’immortalità, invertendo il processo di invecchiamento. Ci sarebbero altre personalità da citare, tra cui Michael D. West: inizialmente sostenitore del creazionismo, è il fondatore della Geron Corporation, tuttora attiva, la prima compagnia biotech che mira espressamente a trovare una “cura” per l’invecchiamento. La strategia impostata da West ruota attorno alla telomerasi, ovvero il processo di riallungamento dei telomeri. Nel 1998 diventa amministratore delegato della Advanced Cell Technology, compagnia biotech in Santa Monica, California in cui, il grosso del lavoro in questo posto, è quello di riportare biologicamente indietro le cellule umane. West è colui che distingue gli studi tra la linea germinale, immortale, e il soma che invece si ferisce, si taglia, si ammala e muore. Secondo lo scienziato la linea germinale è la fonte dell’immortalità che poi, a livello pratico, significa lavorare sulle cellule staminali embrionali.
Le cellule staminali embrionali sono cellule non ancora differenziate e, pertanto, capaci di mutare in qualsiasi altro tipo di cellula; queste rappresentano un tema “caldo” della ricerca biotecnologica, perché riuscire a manipolarle vorrebbe dire utilizzarle per curare un gran numero di diverse patologie degenerative, come il Parkinson, l’Alzheimer o, ancora, la distrofia muscolare. Poiché non hanno ancora scelto di diventare cellule germinali attive o somatiche, sono immortali come la linea germinale e, pertanto, in grado di proliferare indefinitamente. Questo scienziato ebbe non pochi problemi nell’era Bush, e fu accusato di voler giocare a fare Dio.
Fu autore nel 2003 di The
Immortal Cell(12) e, attualmente, è amministratore delegato di BioTime(13), una compagnia biotech di Alameda, in California, che si occupa di ricerca e sviluppo nell’ambito delle cellule staminali.
Altro esponente da ricordare come massimo teorico dell’immortalità scientifica contemporanea è Aubrey David Nicholas Jasper de Grey, il quale ha messo a punto il sistema più completo per la cura dell’invecchiamento, aderendo a quello che pare essere il paradigma dominante in biogerontologia: l’idea cioè che l’invecchiamento e il declino psico-fisico non siano il frutto di un programma genetico previsto dal nostro DNA, ma il semplice effetto dell’incuria con cui la natura ci tratta dopo che abbiamo superato l’età utile per la riproduzione. A tutto questo, aggiunge l’idea che il confine tra malattia e invecchiamento sia illusorio. Il motivo di tale distinzione è che le malattie non sono universali mentre l’invecchiamento, al contrario, lo è. A questo, De Grey obbietta che le malattie legate all’età sono…legate all’età. Appaiono cioè a uno stadio avanzato perché sono conseguenze di quel processo. Non c’è una bomba a orologeria, ma solo un lento accumularsi di danni. Il suo, è un approccio di tipo <<ingegneristico>> e chiede perché non ci limitiamo invece a classificare i danni prodotti sul nostro organismo dal processo di invecchiamento, e non sviluppiamo strategie adeguate per ripararli man mano che si manifestano? Dopo tutto, per effettuare la manutenzione di una casa o di un’automobile non abbiamo bisogno di mettere le mani sui disegni dell’architetto o dell’ingegnere; ci basta dare un’occhiata a ciò che non va e prendere provvedimenti. Dopo tutto, questo è accaduto anche in medicina; per esempio, l’acido acetilsalicilico è stato usato ben prima di una conoscenza totale della sua azione chimica.
Il primo tipo di danno che De Grey rileva è quello relativo alle mutazioni nel genoma e nell’epigenoma, l’insieme dei meccanismi che regolano l’attivazione di questo o quel gene. In sostanza, si parla di mutazioni che colpiscono il DNA e le proteine sintetizzate a partire dal nostro codice genetico. Il secondo danno riguarda altre mutazioni che colpiscono il DNA dei mitocondri, che influiscono sulla capacità della cellula di funzionare regolarmente. Alcuni mitocondri, entrano in un peculiare stato maladattativo che causa e diffonde lo stresso ossidativo dalla cellula direttamente coinvolta, verso le altre cellule, favorendo l’invecchiamento. Il terzo danno è la <<spazzatura>>, ossia la <<lipofuscina>>, più gli aggregati-extra cellulari (il quarto danno). Il quinto danno è costituito dalla <<morte cellulare>>; la riduzione numerica delle cellule fa sì, per esempio, che il nostro cuore si indebolisca con l’età, che il cervello perda neuroni, che il sistema immunitario perda forza, e così via. C’è anche la questione della <<senescenza cellulare>>, in cui le cellule non sono più in grado di dividersi (limite di H.), ma non muoiono né permettono ad altre di moltiplicarsi.

Un altro recente progresso viene da Jean Marc Lemaitre, che ha diretto lo studio all’Istituto di Genomica Funzionale dell’Università di Montpellier, dichiarando che la ricerca sulla possibilità di rimuovere i segni lasciati dall’invecchiamento cellulare, pubblicata il 1 Novembre 2011 sulla rivista Genes & Development, “apre ad una nuova era della medicina rigenerativa”. Vecchie cellule prelevate da pazienti ultracentenari sono state riprogrammate per ritornare ad essere cellule staminali pluripotenti indotte (IPS) che hanno in tutto e per tutto le caratteristiche delle cellule embrionali: possono differenziarsi in ogni altro tipo di cellula e diventare neuroni, tessuto epiteliale, ecc., dopo questa speciale cura di “ringiovanimento”.
La prima fase è stata quella di moltiplicare dei fibroblasti da un donatore di 74 anni perché raggiungessero lo stato di senescenza cellulare, cioè lo stato nel quale la cellula smette di proliferare. Successivamente, il gruppo ha aggiunto altri due fattori genetici alla classica preparazione con la quale gli esperimenti venivano condotti dal 2007 (OCT4, una proteina coinvolta nell’autorinnovamento delle cellule, SOX2, un fattore di trascrizione, Myc, KLF4 C, NANOG e LIN28). Pertanto, si scopre che a livello cellulare, non solo si può tornare indietro, ma si può resettare la cellula, completamente.
Attraverso questo nuovo “cocktail” di 6 ingredienti, le cellule sono tornate “bambine” senza più alcuna traccia del passato. I markers dell’invecchiamento sono stati del tutto cancellati dalle cellule, e le staminali ottenute hanno riguadagnato tutte le loro capacità di riprodursi e nuovamente “la vita davanti”. L’importanza straordinaria di questo studio porterà sicuramente nell’immediato molti sviluppi nella cura di organi e tessuti danneggiati, nell’attesa che possa essere ampliato per portare a risultati più generali, tra cui l’inversione della vecchiaia.
C’è ancora un “ma”. Saremo in grado di contrastare la morte con questi progressi, o avremo bisogno di implemetare il nostro organismo di nanotecnologie della grandezza di virus per fermare definitivamente il tempo, in termini biologici? E saremo ancora gli stessi umani di cui fiducioso scriveva Huxley o subiremo una mutazione determinando la fine dell’umanità attuale?


6. I robot erediteranno la Terra: una nuova <<umanità>> aggirerà la morte?

Quando la prima intelligenza transumana sarà creata e si lancerà in un ciclo di auto-potenziamento ricorsivo, assisteremo verosimilmente ad una discontinuità fondamentale, le cui caratteristiche non posso neppure cominciare a predire.

Michael Anissimov

Ci troviamo nella sesta epoca ipotizzata da Marshall Mc Luhan, dove i cambiamenti verso la singolarità sono avvenuti molto più velocemente che in tutti gli altri balzi del periodo evolutivo nella storia dell’umanità(14).
I continui progressi nell’intelligenza artificiale potrebbero condurre alla creazione di macchine che pensano nello stesso generale modo di un essere umano? Alan Turing ha dato una definizione operativa a questa domanda nel suo classico Computing Machinery and Intelligence (1950)(15) e predisse che i computer avrebbero potuto passare quello che è ormai conosciuto come il Test di Turing. Il test di Turing è un criterio per determinare se una macchina sia in grado di pensare. Molti dibattiti si sono susseguiti circa la risposta, ma ciò che conta di più da un punto di vista pratico è se, e in caso affermativo, quando i computer saranno in grado di eguagliare le prestazioni umane in compiti che implicano capacità di ragionamento generale. Con il senno di poi, possiamo dire che molti dei primi ricercatori di intelligenza artificiale si sono rivelati troppo ottimistici circa i tempi. Naturalmente, il fatto che non abbiamo ancora raggiunto il livello di intelligenza artificiale umana, non significa che non lo raggiungeremo mai, e un numero di persone, ad esempio, Marvin Minsky, Hans Moravec, Ray Kurzweil, e Nick Bostrom hanno addotto ragioni per prendere sul serio la possibilità che ciò possa avvenire entro la prima metà di questo secolo. In un tributo del 1958, il matematico polacco Stanislaw Ulam, riferendosi ad un incontro con il suo collega John von Neumann, ha scritto:

“Una conversazione centrata sul progresso sempre più rapido delle tecnologie e dei cambiamenti nel modo di vita umano, dà l’impressione di avvicinarsi a qualche singolarità essenziale nella storia della razza umana, oltre la quale le faccende umane, così come le conosciamo, potrebbero non continuare”.

La rapidità dei cambiamenti tecnologici in questi ultimi tempi porta naturalmente l’idea che la continua innovazione tecnologica avrà un profondo effetto sull’umanità nei prossimi decenni. Gordon E. Moore, co-fondatore di Intel, notò nel 1965 che il numero di transistor su un chip cresce in modo esponenziale. Ciò ha portato alla formulazione della “Legge di Moore”, in cui si afferma che la potenza di calcolo raddoppia ogni circa due anni. Più di recente, Kurzweil ha documentato simili tassi di crescita esponenziale in una serie di altre tecnologie. E ‘interessante notare che l’economia mondiale, un indice generale di capacità produttiva dell’umanità, è raddoppiata ogni quindici anni circa nei tempi moderni.
L’ipotesi della Singolarità, di cui von Neumann allude apparentemente nel brano sopra citato, sostiene che questi cambiamenti porteranno a qualche forma di discontinuità. Ma al giorno d’oggi ci si riferisce spesso ad una previsione più specifica: e cioè, che la creazione dell’intelligenza artificiale auto-migliorativa a un certo punto condurrà a cambiamenti radicali in un brevissimo lasso di tempo. Questa ipotesi è stata per prima chiaramente affermata nel 1965 dallo statistico I.J. Good:

“Possiamo definire una macchina ultraintelligente come una macchina che può superare di gran lunga tutte le attività intellettuali di un qualsiasi uomo per quanto intelligente sia. Poiché la progettazione di macchine è una di queste attività intellettuali, una macchina ultraintelligente potrebbe progettare macchine ancora migliori, ci sarebbe allora senza dubbio un’esplosione di intelligenza’, e l’intelligenza dell’uomo sarebbe lasciata alle spalle. Così la prima macchina ultraintelligente sarebbe l’ultima invenzione che l’uomo abbia bisogno di fare”.
Vernor Vinge ha discusso questa idea un po’ più nel dettaglio nel suo influente Technological Singularity del 1993, in cui aveva previsto:

“Entro trenta anni, avremo i mezzi tecnologici per creare un’intelligenza sovrumana. Poco dopo, l’era umana sarà finita”.


7. Riflessioni e conclusione

Biotecnologa, ingegneria genetica, scienze cognitive, nanotecnologia, bionica, crionica, clonazione, robotica, informatica presentano all’uomo un interrogativo: quelli che oggi sono strumenti di cura per alcune malattie, non potrebbero un domani servire a potenziare i corpi sani? Scienziati, esperti di bioetica, filosofi e tecnovisionari sono già all’opera in varie parti del mondo (in particolare in Giappone, in Cina, in India, negli U.S.A.). E, in questa ricerca, vengono messe in discussione definizioni di identità, uguaglianza, etica, sicurezza e, soprattutto, il concetto stesso di umanità. Alcuni transumanisti sono convinti che la futura comprensione della “neuroteologia” (la riduzione del sacro a neurofisiologia) darà la possibilità agli uomini di ottenere il controllo sugli stati di coscienza alterati, mentre i più materialisti fra di loro si limitano a cercare la possibilità di trasferire il contenuto da un cervello a un altro tramite interfacce neuro-informatiche. Fino all’ipotesi della realizzazione di un computer che acquista coscienza in seguito al “mind uploading” di un essere umano (o, per lo meno, di un computer talmente evoluto che acquista coscienza): riuscire a convertire le personalità umane in programmi per computer che possano essere poi scaricati nelle macchine. Attraverso questo processo, in un certo senso, noi saremmo i computer e i computer sarebbero noi. Più precisamente, noi e loro saremmo un organismo cibernetico, un qualcosa di nuovo, molto più potente, longevo e resistente di quanto si è visto finora sul pianeta terra. E, se non altro, il “mind uploading” permette di fare copie del programma e quindi, se qualcosa va male, si può ‘resettare’ tutto e tentare un nuovo esperimento (16). Oggi i transumanisti hanno opinioni divergenti sulla Singolarità: alcuni la vedono come uno scenario probabile, altri ritengono che sia più probabile che non ci saranno mai improvvisi e drammatici cambiamenti come risultato dei progressi nel campo dell’intelligenza artificiale. L’idea di singolarità è presente anche in una versione un po ‘diversa, quella escatologica, che trae la sua discendenza dagli scritti di Pierre Teilhard de Chardin, un paleontologo e teologo gesuita, che ha visto un telos evolutivo nello sviluppo di una noosfera inclusiva (una coscienza globale) per arrivare al fisico Frank Tipler, il quale sosteneva che le civiltà avanzate potrebbero arrivare ad avere una forte influenza sulla futura evoluzione del cosmo, e nei momenti finali del Big Crunch, potrebbero riuscire ad estrarre un numero infinito di calcoli sfruttando l’energia pura del collasso della materia. Tuttavia, anche se queste idee possono affascinare coloro che hanno voglia di un matrimonio tra misticismo e scienza, non hanno preso piede tra i transumanisti o tra la più ampia comunità scientifica. Le attuali teorie cosmologiche indicano che l’universo continuerà ad espandersi per sempre (falsificando la previsione di Tipler).
Personalmente, ritengo che nell’epoca Postumana successiva alla mediana di transizione, da cui il termine Transumanesimo, si raggiungerà la possibilità di escludere la morte biologica, superando il sistema a base carbonio di cui è composto l’attuale essere umano. Ma non si parlerà più di umanità e questo, molto probabilmente, andrà ad escludere l’ambito della spiritualità in un mondo dove una singolarità tecnologica potrà basarsi su modelli di organizzazione della vita derivati dai precedenti, ma che nulla avranno a che vedere con quelli attuali. Pertanto bisognerà trovare una situazione di mezzo, che ci consenta di vivere al meglio la vita, di allungarla e organizzarla secondo una nuova intelligenza frutto delle scelte evolutive che ne conseguirebbero, ma spingersi oltre vorrebbe dire rinunciare all’identità dell’uomo stesso che si avvicinerebbe sempre più alla Singolarità Tecnologica.
Ma quali indicazioni trarne concretamente oggi? Forse una sola, semplice e banale: la medicina che si contrappone alla dimensione spirituale dell’esistenza è intrinsecamente contraddittoria e destinata a fallire. Perché arriverà sempre il momento in cui un buon medico dovrà ammettere di non poter andare avanti. Da quel momento in poi si entra in un territorio in cui l’arte medica non ha più alcuna giurisdizione. E se la scienza chiede, in tutta legittimità, di essere libera nel suo operato da ogni eccessivo condizionamento ideologico o religioso, essa deve avere l’umiltà di ritirarsi al cospetto della Soglia al di là della quale solo un “liberato in vita” ha diritto d’asilo.


Note

( 1 ) Ernest Becker,The denial of death, Free Press Paperbacks, New York, 1997.

( 2 ) Henry-Charles Puech. Sulle tracce della gnosi, Adelphi, Milano, 2003.

( 3 ) Stephen S. Hall, I superfarmaci dell’immortalità, orme editori, Milano, 2004.

( 4 ) Sthephen Cave, Immortality: The Quest To Live Forever and How It Drives Civilization, Crown Publishers, New York, 2012.

( 5 ) Cfr. Hayflick, Leonard, Dizionario Medico Treccani, 2010.

( 6 ) Cfr. www.immaginarioscientifico.it/2015/…ite-di-hayflick

( 7 ) L’opuscolo non è acquistabile né reperibile in biblioteche, ma il suo contenuto è stato interamente tradotto in italiano e pubblicato col titolo “FAQ WTA 1999” nel sito dell’Associazione Italiana Transumanisti: www.transumanisti.it .

( 8 ) Doug Bailey, Anders Sandberg, Gustavo Alves, Max More, Holger Wagner, Natasha Vita More, Eugene Leitl, Berrie Staring, David Pearce, Bill Fantegrossi, Doug Baily Jr., den Otter, Ralf Fletcher, Kathryn Aegis, Tom Morrow, Alexander Chislenko, Lee Daniel Crocker, Darren Reynolds, Keith Elis, Thom Quinn, Mikhail Sverdlov, Arjen Kamphuis, Shane Spaulding, Nick Bostrom, e molti altri rimasti anonimi. Si badi che successivamente sono intervenute modifiche e aggiustamenti della dichiarazione e delle FAQ, ma nell’articolo si fa riferimento all’unico opuscolo apparso su supporto cartaceo, pubblicato in italiano nel sito dell’Associazione Italiana Transumanisti (www.transumanisti.it). I principi appaiono sulla home page, mentre il resto dell’opuscolo si trova nel documento denominato “FAQ WTA 1999”. Per accedere alle versioni digitali aggiornate, in lingua inglese, si veda http://humanityplus.org.

( 9 ) Riccardo Campa, Mutare o perire. La sfida del transumanesimo, Sestante Edizioni, Bergamo, 2010.

( 10 ) Roberto Manzocco, Esseri Umani 2.0, collana i blu – pagine di scienza ideata e curata da Marina Forlizzi, Springer-Verlag, Italia, 2014.

( 11 ) Cfr. J. Greenberg, T. Pyszczynski, S. Solomon, The causes and consequences of a need for selfsteem: A terror management theory, in F. Baumeister (a cura di), Public self and private self, Springer-Verlag, New York 1986, pp. 189-212. Inoltre: Ibid., A terror management theory of social behavior: The psychological functions of selfesteem and cultural worldviews, in: <<advances in experimental social psychology>>, 24(93), Springer-Verlag, New York, 1991, p. 159.

( 12 ) Michael D. West, The Immortal Cell: One Scientist’s Quest to Solve the Mistery of Human Aging, Doubleday, New York, 2003.

( 13 ) Cfr. www.biotimeinc.com

( 14 ) Cfr.http://www.estropico.org/index.php?option=com_content&view=article&id=146:la-singo-e-vicna&catid=48:singolarita&Itemid=87

( 15 ) Cfr. www.csee.umbc.edu/courses/471/papers/turing.pdf

( 16 ) Cfr. www.transumanisti.it/3_articolo.asp?id=63

Pubblicato da Ignorando

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