Maometto, le parole del Grande Profeta

pubblicato il 6 gennaio 2014

La Mecca, città natale di Maometto, godeva di una certa importanza per due aspetti: in quanto centro culturale degli arabi che si recavano in pellegrinaggio alla Ka’ba e in qualità di fulcro dei commerci che si svolgevano lungo i confini occidentali dell’Arabia. Come la gran parte dei suoi concittadini, anche il padre di Maometto era un mercante, appartenente alla potente tribù dei Qurays (o Coreisciti). Morì nel 570 d.c., al ritorno da un viaggio d’affari, poco prima della nascita del figlio. Quando, all’età di 6 anni, Maometto perse anche la madre, venne affidato dapprima alle cure del nonno paterno ‘Abd-al-Muttalib e poi, alla sua morte sopraggiunta due anni dopo, a quelle dello zio Abu Talib che aveva ereditato il ruolo di capo della tribù degli Hasim. Purtroppo la situazione economica dello zio non era delle più floride, pertanto Maometto, privo dei mezzi necessari per entrare in affari, si limitò a partecipare alle carovane commerciali dirette in Siria. Evidentemente questo bastò a dimostrare la sua grande attitudine alla professione mercantile e, all’età di venticinque anni, una ricca vedova di nome Hadiga ibn Khuwaylid lo volle come incaricato dei suoi affari in Siria. Rimasta favorevolmente impressionata dall’onestà e dall’abilità affaristica del giovane, la donna, già sposata due volte e più anziana di quindici anni, gli propose di sposarla.

Quello con Hadiga fu un matrimonio felice, ma dopo quindici anni successe qualcosa che cambiò radicalmente il corso della storia. All’età di quarant’anni, a Maometto apparve in sogno l’angelo Gabriele: Dio lo aveva chiamato ad assurgere al ruolo di Suo Inviato. Alcuni anni più tardi, col sotegno di Hadiga e di uno sparuto gruppo di amici, egli cominciò a predicare in pubblico. Queste prime rivelazioni parlano della bontà e della potenza divina, dell’imminente Giudizio Finale e invitano il popolo a sottomettersi (Islam) all’unico vero Dio, il Signore della Ka’ba, rinunciando all’idolatria e all’avidità per purificarsi e dedicarsi alla preghiera e alle opere di bene. Questi temi suscitarono l’ostilità dei ricchi mercanti della Mecca e, quando la situazione precipitò, Maometto invitò i suoi seguaci a trovare rifugio dalle persecuzioni emigrando in Abissinia. Alla morte dello zio Abu Talib e della moglie Hadiga egli, non più al sicuro, li raggiunse.

Era il 622 quando Maometto e i suoi seguaci emigrarono a Yathrib (ora Medina), i cui abitanti si erano già convertiti alla causa maomettana. Questa migrazione (higra o ègira) segna l’inizio dell’era islamica. A Yathrib gli “emigranti” (della Mecca) furono considerati in un primo momento come un clan separato, capeggiato da Maometto; invece gli Ansar o “aiutanti” (di Maometto), cioè i clan musulmani indigeni, accettarono Maometto esclusivamente come loro Profeta continuando a riconoscere il potere temporale dei rispettivi capi. Ben presto, tuttavia, Maometto si impose anche come capo politico, non senza la feroce opposizione degli ebrei che rappresentavano un terzo della popolazione. Le rivelazioni ricevute a Medina regolano le principali pratiche religiose islamiche, determinano le fondamenta della legge musulmana ed esortano i credenti alla lotta armata contro l’idolatria. Nel corso degli ultimi dieci anni di vita, Maometto condusse parecchie campagne militari conclusesi con successo, conquistò la Mecca e con essa l’egemonia sella penisola arabica e contrasse numerosi matrimoni, specie con le vedove degli amici caduti in battaglia. Nel 632 (anno 11 dell’era musulmana) mentre i musulmani erano sul punto di invadere l’impero persiano e bizantino, Maometto morì col capo reclinato sul grembo di ‘A’isha, la moglie vergine.

Nessuno dei numerosi figli di Maometto gli sopravvisse: l’ultimo nato, Ibrahim, morì ancora piccolo pochi mesi prima del padre. Pertanto, quale candidato alla sua eredità politica e religiosa, gli sciiti proposero ‘Alì, cugino del marito della figlia Fatima e padre di Hasan e Hussein, gli unici nipoti di Maometto che raggiunsero l’età adulta. Ma ‘Ali dovrà attendere diversi anni prima di ricoprire l’incarico perchè per ben tre volte gli furono preferiti altri compagni del profeta: Abu Bakr, ‘Umar e infine ‘Uthman. ‘Ali viene considerato dai musulmani sunniti il quarto e ultimo vero califfo. Dopo il suo assassinio, avvenuto nel 661 (anno 40 dell’era musulmana), l’impero musulmano, che comprendeva anche l’Egitto, il Levante e la Persia, passò alla guida degli Omayyadi che trasferirono la capitale a Damasco. Nel 750 (132) gli Omayyadi furono spodestati dagli Abassidi che dodici anni più tardi fondarono la capitale Baghdad.

Finchè Maometto fu in vita, le rivelazioni venivano trascritte dai seguaci su foglie di palma, brandelli di papiro o ossa di animali; dopo la sua morte, Abu Bakr diede ordine di raccoglierle in forma di libro e il terzo califfo ‘Uthman fissò una volta per tutte il testo ufficiale. E’ universalmente accettato che, a parte qualche correzione ortografica, il Corano, così come lo conosciamo oggi, è in sostanza una copia della versione autorizzata da ‘Uthman.
Per i musulmani questo libro non rappresenta solo le Scritture, ma il verbo non creato di Dio e non andrebbe confuso con le opere e le parole di Maometto che sono state raccolte, successivamente, negli hadith (tradizioni). La più completa è quella di Bukhari, morto nel 870/256, comprendente più di 7000 hadith anche se, eliminando le varianti e le ripetizioni, il numero si riduce a 2762. Ogni hadith è composto da due elementi: un isnad e un matn. Il primo riguarda la catena di relatori che garantiscono l’autenticità del contenuto: essa inizia con il nome del referente di Bukhari e procede a ritroso fino a risalire all’identità del compagno del Profeta che aveva udito in prima persona l’enunciazione o era stato testimone dell’avvenimento. Il matn invece è il vero e proprio testo dello hadith e può riguardare un detto di Maometto o un episodio specifico della sua vita. Bukhari impiegò sedici anni per completare la raccolta e interpellò più di mille sceicchi a Balkh, Merv, Nishapur, in Mesopotamia, Egitto e Siria.
Fu molto scrupoloso nel controllare e verificare gli isnad e si narra che una volta, dopo aver percorso centinaia di chilometri per raccogliere le parole di un uomo molto pio, se ne andò senza neppure intervistarlo perchè lo aveva sorpreso ad ingannare il suo cavallo mettendogli al collo un sacchetto senza biada. Oltre a quella di Bukhari esistono molte altre raccolte, ma solo cinque si sono guadagnate un’autorità canonica: quella di Muslim, di Abu Dawud, di al-Tirmidhi, di Ibn Maga e di al-Nasa.

Se da un lato gli studiosi (eccetto quelli non musulmani che palesano un chiaro scetticismo) sono divisi sul tema dell’autenticità degli hadith, dall’altro tutti concordano nell’affermare che, all’epoca in cui furono redatti, circolavano parecchi falsi. Alcuni “testimoni” potrebbero aver mentito per motivi politici o per un proprio tornaconto o per onorare il Profeta attribuendogli detti particolarmente significativi; altri, addirittura, per pura e semplice malizia: come l’uomo che confessò di aver inventato circa 4000 hadith in cui proibiva ciò che era ammesso e ammetteva ciò che era proibito. Ma c’era anche chi mentiva per professione e assecondava le aspettative e i desideri del suo pubblico a fin di lucro: un giorno per esempio, l’ortodosso Al-A’mash entrò in una moschea a Basra e udì un uomo narrare un falso hadith a lui attribuito all’inizio della isnad. Al-A’mash si sedette in mezzo alla cerchia di persone ed iniziò a strapparsi i peli dalle ascelle. Il narratore lo rimproverò ma il saggio rispose: “Io mi comporto meglio di te… non faccio altro che seguire gli insegnamenti del profeta mentre tu racconti fandonie. Io sono A’mash e non ho mai detto nulla di simile”.
Tuttavia, molti musulmani ritengono che Bukhari e Muslim abbiano saputo distinguere il grano dalla pula, riportando solo gli hadith “incontestabili”. Gli atri quattro compilatori furono decisamente meno rigorosi e le loro raccolte contengono hadith definiti “autentici”, pur essendo meno autorevoli di quelli “incontestabili”, sono comunque abbastanza attendibili da costituire una legge, invece quelli “dubbi” hanno solo funzione esortativa.

Infine, anche se gli hadith, non ci riportano al Maometto storico, non di meno essi riflettono la figura di Maometto secondo l’immaginario musulmano. Essi rispondono all’ingiunzione coranica di obbedire a Dio e al Suo apostolo (C 8.2 e segg.) e attestano che l’Inviato di Dio è un eccellente esempio per i credenti (C 33.21), il modello della perfezione umana che i musulmani devono prendere a esempio.

Saluti, Igno-rando

Pubblicato da Ignorando

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