L’importanza della leggenda

pubblicato l’8 gennaio 2016

Fonte immagine: Le leggende delle Marche – La sirena Mitì (casaledelconero.it)

La coscienza è l’unica cosa reale al mondo,
e il mistero più grande.

Vladimir Nabokov, Un mondo sinistro


La mente è più grande del cielo
perché, se li metti fianco a fianco,
l’una contiene l’altro
facilmente, e anche te.


Emily Dickinson, poesia n° 632


Solo gli esseri umani regolano il proprio comportamento in base alla conoscenza di ciò che è accaduto prima che essi nascessero e alla previsione di ciò che potrà accadere dopo la loro morte: perciò solo il loro destino è guidato da una luce che giunge oltre l’angusto spazio in cui vivono.

Peter B. Medawar e Jean S. Medawar, 1977


Le tre citazioni sono introduttive di un argomento di cui molto si riporta e poco si comprende. Si legge di mente, di uomo e di coscienza. Ma si legge anche di cielo , o meglio, di cosa contiene chi. Quest’ultimo dettaglio, difatti, risponde a regole legate allo studio dei quanti e all’incidenza della “mente cosciente” sulla materia, allo stesso principio che determina l’affermarsi delle Leggende nella storia umana. Ed è in questo ambito che esse rivestono un loro ruolo. Non risulta mai affrontato il tema secondo detti termini, poiché la sua considerazione resta spontaneamente circoscritta a confini impenetrabili, misteriosi ed ignoti a discorsi razionali e agli studi sulla coscienza umana; non a caso, questa scissione naturale ha una responsabilità sostanziale essendo che la Leggenda si colloca come vero e proprio organo di difesa e salvaguardia del pianeta dalla specie umana stessa di cui, paradossalmente, ne è artefice. Per assimilare la presente analisi andranno riconsiderate molte cose, tra le quali gli effetti dell’accesso cosciente dell’uomo sulla realtà fenomenica, per poi concludere che l’elaborazione delle emozioni interagisce con l’intorno e che la mente collettiva, per questo, è in grado di interagire, creare e modificare la realtà ad immagine e somiglianza del proprio pensiero. Ciò a cui il pensiero collettivo crede determina, per una serie di meccanismi, il riflesso dello stesso nella realtà; quest’ultima, poi, va riconsiderata – soprattutto – per quell’ambito sfuggevole all’occhio umano ma che, non per questo, è priva di fondamento o, peggio ancora, di esistenza.
L’etimologia del termine “leggenda” deriva dal latino legenda che significa “cose che devono essere lette”, “degne di essere lette”. In seguito, questa parola abbracciò un significato più esteso da quello originario e oggi indica qualunque racconto che presenti elementi reali ma trasformati dalla fantasia, tramandati allo scopo di rispondere a dei perché, spiegare qualche caratteristica appartenente ad un ambiente naturale, celebrare eventi o personaggi fondamentali per la storia di un popolo. Le leggende non si originano mai da fatti puramente inventati; esse, prima di acquisire questa connotazione, partono da una verità che diviene mito e, man mano che questo viene trasmesso, si plasma per mezzo degli uomini che, intenti nel tentativo di comprendere la causa di ciò che non riescono a decifrare, vi si spingono attraverso l’utilizzo dell’immaginazione. Più l’immaginazione ha influito su un avvenimento, più diviene leggendario. Vedremo che, in realtà, anche l’immaginazione ha in sé un processo di conservazione e, pertanto, la leggenda non è risultante esclusivamente come deviazione della verità, ma si connota di derivazioni dell’inconscio che, per parte sua, è già contenitore di memoria. La leggenda risale ai tempi antichi e come il mito, la favola e la fiaba, fa parte del patrimonio culturale di tutti i popoli, appartiene alla tradizione orale e, nella narrazione, mescola il reale al meraviglioso. Essa si origina anche dalle paure, attribuendo dei caratteri spaventosi alle cose che si vedono o si sentono. Non sono mai inventate da una sola persona ma, passando di bocca in bocca, passano da un fatto vero a qualcosa di sempre più interpretabile e fantasioso. Le leggende si rivolgono alla collettività e, come tutte le altre forme della tradizione orale, spiegano l’origine di qualche aspetto dell’ambiente, le regole e i modelli da seguire, avvenimenti storici o ritenuti tali, allo scopo di rinsaldare i legami d’appartenenza alle proprie origini. Non vi è mito se non vi è svelamento di un “mistero”, rivelazione di un avvenimento primordiale che ha fondato sia una struttura del reale sia un comportamento umano. Da ciò deriva che, per il suo modo d’essere, il mito non può essere particolare, privato, personale. Si può costruire in quanto mito solamente nella misura in cui rivela l’esistenza e l’attività degli esseri sovrumani che si comportano in un modo universale; poiché un mito diventa un “modello per tutto il mondo” (così è considerata la società cui si appartiene) e un “modello per l’eternità” (infatti è avvenuto in ilio tempore e non partecipa alla temporalità). Altra nota specifica, è che il mito è accolto dall’uomo in quanto essere totale, non si rivolge solamente alla sua intelligenza o alla sua immaginazione. Quando non è più condiviso come rivelazione dei “misteri”, il mito si “degrada”, si oscura, diventa racconto, novella, leggenda. Un sogno non riesce a sollevarsi ad un simile ordine ontologico perché, non essendo vissuto dall’uomo totale, non riesce a trasformare una situazione particolare in una situazione esemplare, universalmente valida. Per quanto possa essere decifrato, interpretato, un sogno manca dell’esemplarità e dell’universalità, componenti costitutive dei miti, anche se per quest’altro ambito non si deve trascurare o ignorare che vi sia una parte interagente attraverso l’inconscio collettivo. Tuttavia, per l’impossibilità di rilevarli con precisione a livello planetario, il sogno in sé non è considerato ancora come svelamento delle strutture del reale, né come rivelazione di un comportamento che, fondato dagli dèi o dagli eroi civilizzatori, s’impone come esemplare.

Le leggende narrano di creature e di esseri, di spiriti ed essenze che animano luoghi per lo più incontaminati e/o molto legati agli ambienti naturali i quali spesso celano la presenza di queste forme di esistenza, di cui se ne ha la percezione senza – quasi – mai riuscire a scorgere nulla di definibile. Bisogna comprendere in che modo la realtà invisibile interagisce col mondo visibile e dove, invece, è la suggestione a prendere il sopravvento sull’immaginazione, e come le emozioni da questa generate vadano ad attivare livelli più profondi ed “operativi” della coscienza collettiva. Altro punto da ricollegare al discorso delle leggende è la stretta correlazione di questa come agente “manipolatore” della realtà circostante e, pertanto, dell’incidenza che ha di plasmare continuamente ciò che viene a definirsi, tra la realtà tangibile e non tangibile, come riflesso delle emozioni dell’ Io, ovvero dell’Uomo che, estrapolato dal suo contesto individuale e unito a tutti gli altri, determina la vera forza di questa Specie, forse, rivelando il senso reale della sua vita attiva sul pianeta. Dell’Uomo conta l’Io e non l’io individuale; andrà compreso anche da questo argomento trattato che sia il caso di far morire la visione individualista e personale dell’esistenza in relazione alla realtà circostante, acquisendo maggiori responsabilità e coscienza del fatto che un’emozione, sommata a molte altre identiche emozioni per forza ed intensità, genera effetti concreti anche se non davanti ai propri occhi di cui, magari, se ne avrà prova dall’altra parte del mondo, oppure, resterà celata ma si lascerà percepire. E’ una concezione che rende la specie umana meno casuale e più voluta, probabilmente, anche allo scopo di rilevare in che modo potesse plasmare il proprio intorno, attraverso l’utilizzo della coscienza collettiva.


La coscienza partecipa al divenire della “creazione”

La scienza non può risolvere il mistero ultimo della natura.
Ciò si deve,
in ultima analisi, al fatto che noi stessi facciamo (…)
parte del mistero
che stiamo cercando di risolvere.

Max Planck, fisico



Quando comprendiamo noi stessi, la nostra coscienza,
capiamo anche l’universo e la separazione scompare.

Amit Goswami, fisico


La persistente sensazione umana di essere tutti uniti da un campo che mette in comunicazione l’intero creato è una realtà di fatto. Tale campo è un vero e proprio contenitore, ma al contempo è anche un ponte e uno specchio delle credenze che l’essere umano porta dentro di sé, sia in modo individuale che collettivo. Ogni sua parte è collegata a tutte le altre, dalla scala visibile alla non visibile, e ogni suo tassello rispecchia l’intero su scala ridotta. Il DNA umano ha un effetto diretto sulla materia di cui è fatto il mondo. Le emozioni hanno un effetto diretto sul DNA, che a sua volta condiziona la sostanza del mondo stesso. Il rapporto esistente fra le emozioni e il DNA trascende i confini del tempo e dello spazio. Gli effetti sono identici a prescindere dalla distanza. L’uomo comunica e invia continuamente, attraverso il proprio DNA, input al campo, interagendo attraverso il linguaggio delle emozioni, allo stesso modo di come il pensiero varia le particelle subatomiche. Trattandosi della stessa legge, le emozioni scaturite dai pensieri collettivi e dalle paure generano una corrispondenza precisa attraverso varie manifestazioni, e sono talmente forti da dare una forma precisa alle creature e agli esseri frutto delle leggende tramandate nei millenni.
Pertanto, una sensazione collettiva di paura, genera una creatura che “fa paura” e per questo riesce a proteggere il luogo in cui si trova, così come, una sensazione di presenza “rassicurante” e “protettiva”, avrà come risposta il riflesso delle stesse sensazioni in un altro tipo di presenza che, invece, sarà difficile da scorgere nonostante se ne vada alla ricerca. Sono esseri che sorgono a vantaggio del pianeta che, in questo modo, si tutela dalle contaminazioni delle azioni umane e, al contempo, riescono a salvaguardare i luoghi “del mistero” mantenendo gli equilibri vitali necessari agli ecosistemi.


La versione che scaturisce dagli errori di interpretazione di quanto si percepisce tocca le emozioni e l’atto cosciente plasma la realtà, generandone “il fantasma”. Ed ecco, quindi, che le creature e gli esseri, gli spiriti leggendari sono reali tanto quanto le emozioni umane nei loro riguardi, in virtù delle paure o dei timori elaborati di qualunque luogo che emani le peculiarità responsabili delle suggestioni che ne derivano. La somma delle stesse suggestioni ha potere di manipolazione della realtà che, inconsapevolmente, è creazione! Ed è creazione simile laddove le sensazioni collettive si assomigliano; non a caso esistono similitudini tra le leggende provenienti da zone e culture, anche diametralmente opposte, del pianeta.


Le stesse di cui si parla e si narra, di cui si raccoglie testimonianza e si tramanda sono, prima di tutto, frutto di una estensione interpretativa del Significante su quello che è invece il Significato (l’origine) di una essenza che anima i luoghi, e poiché il Significante passa sotto il setaccio dell’ interpretazione per mezzo della “nomina” , ossia del verbo inteso come tentativo di interpretazione semantica di un dato fenomeno o elemento, viene perso il Significato di origine (in tutto o in parte) che, invece, si riveste di Significanti attraverso la somma delle suggestioni e per mezzo della cosiddetta Santa Ignoranza (la non conoscenza che alimenta la coscienza attraverso caratteristiche che devono restare intoccate dall’informazione in quanto tentativo di razionalizzazione del Significato) e, di conseguenza, si configurano nuovi esseri come riflesso degli errori dell’immaginazione collettiva; ciò in quanto effetto dell’atto partecipante e creativo del pensiero all’interno del campo di energia entro cui le informazioni recepite si plasmano divenendo concrete e – in modi svariati – manifeste.


Tutta la materia trae origine e vita
solo in virtù di una forza…
Dobbiamo presupporre che dietro a questa forza esista
una Mente cosciente e intelligente.
Quella Mente è la matrice di tutta la materia.


Max Planck, 1944




Attraverso queste parole Max Planck, padre della teoria quantistica, ha descritto un campo unitario di energia che unisce tutto il creato: la Matrix Divina.
Nel secolo scorso i fisici hanno scoperto che la materia di cui sono fatti il corpo umano e l’universo non segue sempre le leggi nette e precise della fisica, che sono state considerate inviolabili per quasi tre secoli. Infatti, nella dimensione più microscopica della nostra realtà, proprio le particelle atomiche di cui siamo fatti infrangono le regole secondo cui saremmo separati gli uni dagli altri e avremmo un’esistenza limitata. Di conseguenza, si riconferma il concetto di Io che prevale sulla realtà individuale. A livello di corpuscoli, infatti, tutto sembra essere collegato e infinito.
Queste scoperte indicano che dentro di noi c’è qualcosa che non subisce i condizionamenti del tempo, dello spazio e perfino della morte. Il nocciolo delle scoperte e che l’umanità sembra esistere in un universo “non locale” dove tutto è costantemente collegato. Di conseguenza, è essa stessa atemporale nel suo Io, dislocata dai confini di spazio e tempo dove, invece, viene controllata e gestita attraverso una perpetua ciclicità.


Poiché la Matrix Divina riflette costantemente paure, emozioni e sentimenti umani negli eventi della vita, il mondo quotidiano ci fornisce una visione dei regni nascosti del nostro Io. I nostri specchi personali ci mostrano le convinzioni più vere che abbiamo, i nostri amori e le nostre paure. Il mondo è uno specchio potente (e spesso letterale) con cui non sempre è facile confrontarsi. Con completa onestà, la vita ci spalanca una finestra direttamente sulla realtà fondamentale delle nostre certezze e talvolta quei riflessi ci arrivano in modo del tutto inatteso. Questo stesso principio racchiude come effetto, tra altri della stessa realtà, anche esseri, creature e spiriti che animano luoghi che, via via che sono stati rielaborati dalla fitta rete di passaggi orali con cui si tramanda la cultura di un luogo, sono giunti alla mente collettiva attraverso lo sradicamento della temporalità, perdendo una certezza documentabile e acquisendo leggendarietà. E proprio questo carattere, sradicato dal tempo, penetra in un altro strato più profondo della coscienza attraverso un bagaglio di connotazioni condivise da un potente pensiero collettivo, le cui emozioni accompagnate dalla modifica del comportamento stesso nei riguardi di un luogo, determina un’intenzionalità emotiva con cui il pensiero plasma la realtà. Gli uomini hanno il potere di creare il mondo a propria immagine e somiglianza, in relazione con gli strati stessi del proprio pensiero; fino ad oggi non sono riusciti a rendersene conto, se non solo per lati estremamente negativi legati al depauperamento dello stesso per scopi appartenenti al livello di come sono riusciti ad impostare il proprio sistema. E si capisce da questo, purtroppo, la sua scarsa propensione al bene comune, poiché la mente comune è in grado di ribaltare qualunque situazione.



Il sistema mente-cervello attiva la coscienza


La conoscenza del mondo (esterno e interno) si sviluppa sulla base dei segnali forniti dai recettori periferici. Vediamo come viaggiano le informazioni in questa semplificata descrizione. I segnali raccolti vengono trasmessi dai recettori periferici ai recettori delle aree corticali dette somatosensitive di ordine inferiore, ciascuna diversa ed indipendente dalle altre. La mente ha due tipi di sistemi: i sistemi di input, deputati alle analisi delle afferenze sensoriali – a cui appartengono non solo i sistemi percettivi e motori ma anche il sistema del linguaggio – e i sistemi centrali di interconnessione, destinati alle funzioni superiori (dalla fissazione delle convinzioni alla generazione dei pensieri e alla soluzione dei problemi).
I sistemi di input sono responsabili delle facoltà mentali verticali, informazionalmente chiusi e capaci di fornire degli output non ambigui. Le facoltà verticali sono specifiche per dominio, geneticamente determinate, associate a strutture neuronali distinte, localizzate e computazionalmente autonome. Il funzionamento degli input sensoriali e linguistici è sempre guidato dalle condizioni di stimolazione. Da qui anche la mutevolezza del linguaggio. Senza addentrarsi troppo oltre, basti sapere che la descrizione delle facoltà mentali umane dovrebbe essere formulata non sulla base dell’enumerazione di ciò che la mente umana è in grado di fare ma dall’analisi dei meccanismi casuali che permettono alla mente di agire. Un sistema mente-cervello capace di sviluppare i processi della coscienza deve essere dotato di mappe di circuiti neuronali capaci di ricevere e registrare le informazioni fornite dall’ambiente esterno e interno e confrontandole rapidamente, eventualmente, di sostituire le informazioni precedentemente memorizzate con altre trasferendo le ultime dalle aree motorie e somatosensitive alle aree associative; ciò genera nuovi circuiti neuronali in seguito alle informazioni trasmesse da altri circuiti, l’acquisizione di nuove conoscenze e la formulazione di nuovi pensieri.
Dal punto di vista della neurobiologia, risolvere questo “problema” consiste nello scoprire come il cervello crea configurazioni neuronali nei circuiti di cellule nervose e come riesce a trasformarle nelle esplicite configurazioni mentali che costituiscono il livello superiore del fenomeno biologico che prende il nome di “immagine”, intendendo con questo termine una configurazione mentale in una qualsiasi modalità sensoriale, ad esempio una immagine uditiva, tattile o anche l’immagine di uno stato di benessere. Tali immagini convogliano aspetti delle caratteristiche fisiche degli oggetti e possono anche trasmettere la reazione di gradimento o avversione che si può provare, i piani che si possono formulare a suo riguardo o la rete di relazioni di quell’oggetto tra altri oggetti. Ma non è tutto ciò che accade. Le immagini sensoriali di ciò che viene percepito esternamente e quelle a esse collegate, se richiamate occupano la maggior parte dell’estensione della vostra mente, ma non la totalità. Oltre a quelle immagini c’è un’altra presenza che vi rivela, in quanto “osservatori delle cose immaginate”, in possesso delle cose stesse, potenziali “attori nei confronti delle cose immaginate”. E’ la presenza dell’individuo e anche dell’Io in una particolare relazione con qualcosa o qualche oggetto, o qualche luogo. Se non ci fosse tale presenza, come farebbero i pensieri ad appartenere agli uomini e agli individui? Chi potrebbe dire che vi appartengono? Da questo punto di vista, la presenza in questione è il sentire ciò che accade quando il proprio essere viene modificato dall’atto di apprendere qualcosa. La presenza non viene mai meno, dal momento del risveglio al momento in cui inizia il sonno. Se non c’è, non ci siete neanche voi, non c’è né individuo né umanità. A cosa serve la coscienza? Tutti se lo domandano. Per poter sopravvivere, occorre trovare e incorporare fonti di energia e impedire ogni genere di situazione che minacci l’integrità dei tessuti viventi. Senza agire, organismi come i nostri di certo non sopravviverebbero, poiché non troverebbero le fonti di energia necessarie per rinnovare la propria struttura e mantenersi in vita, non le sfrutterebbero e non le metterebbero al proprio servizio, e non si preoccuperebbero di sventare i pericoli ambientali. Ma di per sé le azioni, senza la guida delle immagini, non ci porterebbero lontano. Le buone azioni hanno bisogno della compagnia delle buone immagini e, considerato cosa risulta su questo pianeta, si valuti quante buone immagini esistono nella mente collettiva e quante sono quelle che non lo sono. Gli uomini possono creare e scegliere gli elementi che ritengono più appropriati sulla base del loro vivere, delle sensazioni che accumulano attraverso l’ambiente culturale in cui si trovano come forma di adattamento nei riguardi dello stesso e della comunità di appartenenza. Se le azioni sono alla base della sopravvivenza e se il loro potere è legato alla disponibilità di immagini guida, le stesse leggende fanno parte di questo dispositivo, trattandosi della capacità di massimizzare l’efficacia della manipolazione delle immagini al servizio dell’interesse di un particolare organismo che in questo caso è l’Uomo che a sua volta è installato sul pianeta e che, quindi, è in questo momento “il pianeta formato da terra + uomo”.

Lo studio dei quanti dimostra che il semplice atto umano di osservare qualcosa di minuscolo come l’elettrone ne cambia le proprietà mentre lo osserviamo. Gli esperimenti indicano che in realtà il fatto stesso di osservare è creativo e che la coscienza umana è l’artefice di quella creazione. Pertanto gli esseri umani non sono semplici spettatori del loro intorno bensì parte attiva della “creazione”. Passare dal sentirsi viandanti per il breve arco di una vita a partecipanti attivi della creazione, esige una nuova percezione della natura del cosmo e del suo funzionamento. Ciò non significa sentirsi improvvisamente di essere Dio in terra arrogandosi un diritto errato, ma di realizzare definitivamente che esiste un campo di energia che unisce tutto il creato e che la responsabilità dell’uomo è davvero altissima. Ecco perché la frase “ chi è causa del suo male pianga sé stesso” deve essere appresa e intesa con la dovuta consapevolezza – e colpevolezza – .
C’è un luogo dove tutte le cose hanno inizio, un regno fatto di pura energia che semplicemente “esiste”. Attraverso gli agenti di creazione della realtà – l’immaginazione, le aspettative, il giudizio, la passione e la preghiera – noi sollecitiamo la genesi di ciascuna possibilità – . Con le nostre convinzioni su chi siamo, cosa abbiamo o non abbiamo e cosa dovremmo o non dovremmo essere, diamo vita alle gioie più grandi e ai momenti più oscuri della vita. La somma degli stessi pensieri data da una moltitudine di individui condiziona la realtà e concretizza i fenomeni, da quelli più pratici legati alle probabilità a quelli più profondi, a seconda del livello di coscienza con cui le emozioni riescono ad installarsi. Più sono profonde e condivise, più riescono ad animarsi nella realtà con l’energia pari all’incidenza dell’intenzionalità attiva nella coscienza, nonostante l’uomo ritenga sempre di avere a che fare solo con sé stesso.

Ma non si commetta l’errore di credere che se ci si mette d’accordo si generi ogni cosa si voglia; il tutto è assolutamente istintivo e legato alla purezza del pensiero emozionale. Se vogliamo che qualcosa cambi, dobbiamo rompere il circolo vizioso. Sembra semplice, non è vero? Può essere ingannevolmente semplice, poiché cambiare il modo in cui vediamo noi stessi è la pratica più difficile da apprendere in questa vita. A causa delle convinzioni interiori, nel mondo esteriore si sperimenta la grande battaglia che si svolge all’interno dei cuori e delle menti di ogni persona – la lotta che definisce chi si ritiene di essere.
Davanti a tante ragioni per non aver fiducia, agli uomini è chiesto di trovare una via di fuga dalla prigione della paura. Ogni giorno le esperienze della vita impongono di dimostrare quanta fiducia si riesce ad avere. E ciò è la rovina, poiché per ottenere questo enorme passo avanti è necessario cambiare – ciascuno per sé e ognuno per tutti – la propria concezione di “io”, divenendo un solo e unico “Io”; ovvero, abbandonando quasi del tutto l’individualità in virtù per un divenire superiore, limitando questo alle funzioni vitali e pratiche. A quel punto il corpo diviene uno strumento di coesione e cooperazione, la possibilità di spostarsi e di produrre evoluzione positiva in armonia con ogni componente dell’Io (ossia, con tutti gli altri “individui”), plasmando così la realtà ad una produttiva e favorevole immagine e somiglianza. Caratteristiche che, certamente, avrebbero uno scenario del tutto diverso rispetto a quello così povero di sostanza e pieno di apparenza, di ora.

Esiste una necessità di rigenerazione periodica nelle civiltà, una rigenerazione ciclica del tempo e le leggende – come i miti – , per mezzo del carattere universale e atemporale, mantengono attaccati gli uomini ai valori radicati alle origini. Le leggende nascono, per vari motivi, rivolgendosi alla collettività e, parimenti, ne riflettono il pensiero; come i miti, spiegano l’origine di qualche aspetto dell’ambiente, regole e modelli da seguire, avvenimenti storici o ritenuti tali allo scopo di rinsaldare i legami d’appartenenza, da quelli circoscritti sino al complesso che regge la somma dei valori e delle idee umane. Il ruolo primario delle leggende è di svolgere una difesa per il pianeta; esse sono state adattate e adottate, sin dagli albori e nei secoli, come meccanismo inconscio ben distante dall’azione individualista ad effetto protettivo verso la Terra e al contempo di sé stesso sul principio Uomo-collettività. Uno fra gli esempi di come il mondo offuschi i suoi tratti storici a tutela della verità è costituito dalla morte delle lingue arcaiche proprio attraverso il tempo (il tempo che cancella la temporalità attraverso il suo scorrere), costringendo la collettività delle ere successive ad un riadattamento della testimonianza che assume connotazioni nuove, date dall’incapacità di comprensione di quanto rinvenuto e, pertanto, del mancato mantenimento originario; ne compare una versione che, per quanto risulti dislocata dalla temporalità, ha un ruolo di conservazione e permanenza dell’insegnamento, sempre valido, di linee guida che consentano di rimanere in carreggiata. Nonostante l’insegnamento stesso muti, a seconda di come si debba controbilanciare il complesso delle azioni lesive gli equilibri planetari ed evolutivi. Un agente di questa mutazione è il concetto di Io come individuo e, pertanto, il valore che viene dato al “cogito ergo sum”. L’ “io dico di esserci” e quindi “io dico Questo” è il secondo motivo per cui la Verità è andata sempre più rivestendosi di interpretazioni che l’hanno allontanata dalla realtà oggettiva, dal Significato. Gli uomini nei tempi dell’individualismo intellettivo sono entrati in errore, prima di tutto perché si sono ritenuti “io” , secondo perché si sono convinti di “dire” e terzo perché si sono “convinti di dire quel che pensano” credendo che quello che pensano non sia un “Significante” ma un “Significato” , e che tutto quello che viene elaborato dipenda da loro in quanto “io”. La presunzione del volere attribuire una spiegazione a tutti i costi si colloca nella cosiddetta “ratio” che, per quanto si rivesta di un carattere ragionato null’altro è che “Miseria” interiore. Una “ratio” che viene sgonfiata non appena lo stesso “pensatore”, addentratosi alle soglie dell’inconscio collettivo – celate nel suo interno -, ripesca le Leggende (così come i Miti) facendo crollare automaticamente le colonne portanti dei suoi stessi ragionamenti. Il meccanismo della mente umana di cancellare la cronaca temporale della storia in virtù di un insegnamento universale che resti senza tempo si serve dell’immaginazione, che vive di paure e creatività. Fino al Settecento l’editoria era ben poca cosa; un libro costava davvero un patrimonio e, quindi, l’orale ha avuto sempre un ruolo – sino prima della riforma di Gutenberg, da “Adamo” in poi – notevolissimo. Si viveva davvero senza strutture, si ballava il ballo di San Vito dei buchi neri del linguaggio, delle contraddizioni, ed era lì che la Leggenda riusciva a mantenere gli equilibri necessari alla sopravvivenza del Mondo e dell’Uomo in quanto specie, tendendo più al Significato che non al Significante. Ma quando l’Essere ha distrutto il Non Essere – laddove il Non Essere va inteso come analogia di tutti nel Tutto al contrario di uno come “Io individuo” – la Leggenda si è riempita di nuovi Significanti, nonostante si pensi ancora al Significato che si connota invece di una successiva Verità nel Non Tempo che è il Tempo dei Tempi. La Leggenda riflette la mente collettiva plasmandosi continuamente ed evoluzionisticamente, il cui pensiero perdura collocandosi nel Non Tempo, o Grande Tempo. Ma a causa dell’alfabetizzazione nei termini della riforma Gutenberghiana e degli effetti causati dal subentro dell’individualismo intellettuale, l’uomo non riesce a morire nel suo individuo e a Divenire un Io collettivo consapevole degli insegnamenti custoditi nel Non Tempo. Dopo il Settecento / Ottocento cominciò ad allargarsi questa “sciagura editoriale”, e lo scritto diventa all’improvviso lo “scritto del morto orale”. Si dimentica che il Significato non è il Significante, e l’orale perde definitivamente sé stesso senza più riuscire a “perdersi” come faceva una volta, rinunciando a comprendersi nella Santa Ignoranza, la quale va intesa come salvaguardia della Verità priva di interpretazioni dell’ ”io individuale”. Il vecchio “Sud dei Santi”, ad esempio, non va soltanto inteso come luogo etnico, ma luogo dove questa Santa Ignoranza lasciava sopravvivere la Verità; man mano che l’editoria si è espansa con l’ “informazione” galoppante, tra cui le gazzette (la vera rovina, informando sempre “i fatti” e mai “dei fatti” o “sui fatti”) anche questo è andato verso una decadenza irrimediabile. E’ vero, si è guadagnato un minimo di alfabetizzazione che non è la Cultura, ma cosa si è ottenuto in cambio? Così come da esempio, questo è l’andamento generale di tutta l’Umanità. L’Io individuo pensatore ha annientato, attraverso le sue forme di espressione del pensiero, il fluire dell’Io collettivo, senza badare al fatto che quest’ultimo è la forza della stessa Specie.

La persistente sensazione umana di essere tutti uniti da un campo che mette in comunicazione l’intero creato è una realtà di fatto. Tale campo è un vero e proprio contenitore, ma al contempo è anche un ponte e uno specchio delle credenze che l’essere umano porta dentro di sé, sia in modo individuale che collettivo. Ogni sua parte è collegata a tutte le altre, dalla scala visibile alla non visibile, e ogni suo tassello rispecchia l’intero su scala ridotta. Il DNA umano ha un effetto diretto sulla materia di cui è fatto il mondo. Le emozioni hanno un effetto diretto sul DNA, che a sua volta condiziona la sostanza del mondo stesso. Il rapporto esistente fra le emozioni e il DNA trascende i confini del tempo e dello spazio. Gli effetti sono identici a prescindere dalla distanza. L’uomo comunica e invia continuamente, attraverso il proprio DNA, input al campo, interagendo attraverso il linguaggio delle emozioni, allo stesso modo di come il pensiero varia le particelle subatomiche. Trattandosi della stessa legge, le emozioni scaturite dai pensieri collettivi e dalle paure generano il riflesso di ciò in diverse manifestazioni, e sono talmente forti da dare una forma precisa alle creature e agli esseri frutto delle leggende tramandate nei millenni.



Similitudini in tutto il mondo; ecco perché creature e “storie” si assomigliano


Dean Radin, scienziato veterano dell’Istituto di Scienze Noetiche, e stato fra i primi a esplorare cosa significa esattamente per noi vivere in un mondo simile.
La non localizzazione, spiega, indica che esistono modalità secondo cui le cose che appaiono separate, in realtà non lo sono. Ci sono aspetti di noi, sostiene Radin, che vanno al di là del qui ed ora, permettendoci di estenderci oltre il tempo e lo spazio. In altre parole, il “noi” che è calato nella nostra componente fisica non è limitato dalla pelle o dai capelli che definiscono i confini del corpo.
Qualunque nome si voglia attribuire a quel misterioso “qualcosa”, noi tutti l’abbiamo; e quello di ciascuno si mescola con quello di tutti gli altri, per creare il campo energetico in cui sono immerse tutte le cose. Si ritiene che il campo costituisca sia la rete quantistica che tiene insieme l’universo, sia il progetto energetico e infinitamente microscopico di tutto ciò che esiste, dal risanamento del corpo fisico alla creazione della pace nel mondo. Per poter incontrare il nostro reale potere, dobbiamo prima capire la natura e il funzionamento del campo.


Dal DNA del corpo umano agli atomi che costituiscono l’universo, gli elementi naturali sembrano scambiarsi informazioni più rapidamente della velocità della luce, cioè più velocemente di quanto Albert Einstein avesse predetto, riferendosi alla velocità massima di trasmissione di qualunque cosa. In alcuni esperimenti, i dati sono perfino giunti a destinazione prima di aver lasciato il loro punto di origine! Storicamente tali fenomeni venivano ritenuti impossibili, tuttavia sembrano non solo essere possibili, ma potrebbero anche mostrarci qualcosa di più sulle interessanti anomalie riferite a minuscole unità di materia. La libertà di movimento dimostrata dalle particelle quantistiche potrebbe rivelarci il funzionamento del resto dell’universo, se riuscissimo a guardare al di là delle attuali conoscenze nel settore della fisica.
Il poeta William Blake considerava il potere dell’immaginazione come l’essenza della vita umana, anziché qualcosa che ci limitiamo a sperimentare di tanto in tanto nel tempo libero. L’essere umano è tutta immaginazione, ha affermato, chiarendo inoltre che il Corpo Eterno dell’Essere umano è l’Immaginazione, cioè Dio stesso. Il filosofo e poeta John Mackenzie ha allargato il concetto del nostro rapporto con l’immaginazione, osservando che la distinzione fra ciò che è reale e ciò che è immaginario non si presta a essere adeguatamente mantenuta (…) tutto ciò che esiste è (…) immaginario. In entrambe le descrizioni gli eventi concreti della vita devono essere considerati in termini di possibilità, prima di poter diventare una realtà. Tuttavia, affinché le idee immaginarie di un dato momento temporale possano diventare realtà in un altro, ci deve essere qualcosa che le unisce. In qualche modo, nella trama dell’universo deve esistere un collegamento fra ciò che è stato immaginato nel passato e le realtà del presente e del futuro. Einstein era fermamente convinto che passato e futuro sono intimamente congiunti e che formino la sostanza di cui è fatta la quarta dimensione, una realtà che denominò spazio-tempo. La distinzione fra passato, presente e futuro, affermò, è solo una cocciuta e persistente illusione.
Sembra che quanto più ci allontaniamo dal nostro rapporto naturale con la terra, col nostro corpo fisico, con gli altri e con Dio, tanto più si forma un vuoto dentro di noi. Nella nostra vacuità, cerchiamo di colmare il vuoto interiore per mezzo delle “cose”.


Conclusione


Indipendentemente dalla nostra capacità o meno di influenzare il passato, è chiaro che le nostre scelte di oggi determinano il presente e il futuro; acquisendo la consapevolezza della coscienza, è possibile mutare approccio nei riguardi dell’Io, maturando il pensiero che si è tutti ugualmente viventi sul pianeta di cui si fa parte e il cui scopo dovrebbe essere quello di mantenere l’armonia di diversi fattori che sono mirati alla vita del complesso come le api di un alveare, direzionando il sapere verso un sentire comune che volge alla salvaguardia del pianeta, considerando che le Leggende stesse, che sino ad ora frenano le azioni umane grazie ai timori che le stesse generano, moriranno così come morirà la mente cosciente umana, cessando così l’atto involontario di creazione. Creature, spiriti ed esseri generatisi nelle leggende, si estingueranno nello stesso istante in cui la mente collettiva cesserà di esistere.


Igno-rando

Pubblicato da Ignorando

De labore solis!